1 febbraio 2011

SENZATETTO. GLI SCATTI. IL RACCONTO


Milano. Stazione Centrale. Camminare la notte all’interno di questa stazione alla ricerca di una realtà che durante il giorno si cela davanti allo sguardo impassibile dei passanti come se fosse parte dell’arredo, ma che di notte si appropria di questo luogo. La notte è come se fosse un filtro che mostra a chi si trova dentro di essa una realtà estranea a quella che siamo abituati a vedere tutti i giorni; barboni, tossici, spacciatori e prostitute sono solo una piccola parte di tutto questo substrato urbano che diventa padrone a tutti gli effetti di uno dei             simboli più importanti della città.


Una realtà ben più complessa di quello che ci si può immaginare pensando a un posto come questo, soprattutto ora dopo la realizzazione dei nuovi cambiamenti che sono stati fatti in questa stazione. Cambiamenti radicali che hanno solo dato a questo luogo una parvenza di moderno anche quando non ce n’era bisogno, e che non hanno risolto minimamente le condizioni di vita di tutte queste persone quasi invisibili che sopravvivono al suo interno.

Cerchi di capire camminando dove potresti trovarli, dove sono i loro tanti nascondigli che di giorno non vedi, ma che durante la notte riempiono i maestosi porticati della Stazione Centrale. Li trovo davanti a me, alcuni raggomitolati in un sacco a pelo racchiusi dentro se stessi altri che invece passano la notte insieme a bere per proteggersi dal freddo dell’inverno. Molti di loro portano addosso i segni di una vita passata a cercare di sopravvivere ogni giorno della loro esistenza, la pelle dei loro volti sembra carta tirata e increspata dal freddo, le mani gonfie per via dell’alcol e dell’eroina ormai diventata compagna abituale delle loro sventure, i denti marci che conti sulle loro bocche quasi a cercare di capire se sono persone oppure animali.

I più fortunati riescono a trovare un posto per passare la notte nelle tende d’accoglienza messe a disposizione della Protezione Civile, dopo i molteplici decessi per assideramento che ci sono stati dall’inizio di questo inverno. Chiedo ai volontari della Protezione Civile l’autorizzazione per fotografare l’interno delle tende. Mi conducono nell’ultima delle cinque, quella con maggior numero di persone. Entro al suo interno immaginando quale situazione avrei potuto trovare, un odore irrespirabile che ti pervade le narici rende l’aria stantia, a un certo momento uno dei volontari che era entrato insieme a me incomincia a spiegarmi la situazione. In quel momento da sotto un mucchio di coperte esce un uomo che accortosi della nostra presenza si alza e viene verso di me con aria sospettosa cercando di capire chi fossi.

Capisce che sono lì per fare delle fotografie e sedendosi incomincia a parlarmi chiedendomi chi ero e perche l’avevo svegliato, continuando a parlare in maniera sconnessa cerca di raccontarmi la sua storia, a un tratto si svegliano quasi tutte le persone all’interno della tenda e accorgendosi della macchina fotografica incominciano a farmi capire che me ne dovevo andare all’istante. Poi alcuni mi raccontano la loro vita passata, di come vivevano prima di arrivare a Milano, altri mi raccontano di come invece sono arrivati in questa città con grandi speranze, e di come si sono persi al suo interno. Persi nell’ombra di loro stessi, nella notte, in attesa che la luce del giorno filtri tra gli edifici di Piazzale Duca D’Aosta illuminando un’altra giornata come tante altre passata in questo grande luogo che alcuni di loro chiamano casa.
 

Marco Menghi

Foto di Marco Menghi e Patrick Toomey–Neri – JAPAM



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti