1 febbraio 2011

FIAT. A CHI LE STOCK OPTION


Il tema della democrazia in fabbrica è un tema difficile, perchè le decisioni di produrre non si prendono a” maggioranza”… se si definisce una strategia, poi tutti debbono attuarla… Il tema della Fiat si innesta piuttosto in una difficile fase di globalizzazione, in cui invece di “esportare” le buone pratiche di lavoro, si importano i sistemi con minori tutele: ma la rivolta di Tunisi e le difficoltà che sembrano emergere anche in Cina (suicidi in fabbriche che sono piuttosto caserme e quindi maggior attenzione da parte dell’autorità) fanno sperare che le conquiste operaie non svaniscano.

Purtroppo in Italia invece di discutere di questi temi si parla di … altro. Giuseppe Ucciero (nell’ultimo numero) citava la Chrysler e il fondo pensione, ma qui c’è una grande differenza: la Chrysler è in parte, attraverso i fondi pensione, anche dei suoi dipendenti, che se ora hanno dovuto subire dei sacrifici, poi, quando le cose andranno bene, avranno anche una parte dei benefici. In Italia l’azionariato dei dipendenti, che la Cisl voleva nel lontano 1945, non è stato voluto né dal sindacato Cgil, ma nemmeno da Confindustria: dove sarebbe ora l’Italia se invece di un paese “banco centrico” si fosse basata di più sul capitale di rischio?

La stessa Germania vede nei consigli di sorveglianza la presenza di esponenti dei dipendenti, che partecipano alle decisioni. Mantenere un rapporto conflittuale fra capitale e lavoro non porta lontano, anche perchè il capitale finanziario senza quello intellettuale non va da nessuna parte. Se quelle stock option che sono state date a Marchionne fossero state date anche a tutti i dipendenti della Fiat, forse sarebbe stato più chiaro che solo il contributo di tutti fa funzionare le imprese e oramai pensare che qualcuno pensi e qualcuno agisca diventa sempre più lontano da quelli che sono i fattori di competitività delle nostre imprese.

Purtroppo i Fondi Pensione in Italia non ci sono o sono molto ridotti e quindi non hanno potere sulle nomine del management, perciò sulla gestione. Ma la crisi ha messo in evidenza che le imprese che sono in grado di continuare sono quelle che sono cresciute con poco debito e con tanto capitale. Così come Assolombarda porta avanti, per stimolare le imprese a ricapitalizzarsi, il tema delle azioni di sviluppo, cioè azioni che non danno diritto di voto nelle scelte ordinarie, ma che recuperano quel diritto quando le decisioni diventano straordinarie e impongono scelte innovative, perchè ai dipendenti italiani non si danno azioni di sviluppo, in modo che i loro rappresentanti possano essere coinvolti nelle decisioni strategiche e sopratutto, se le cose vanno bene, i dipendenti possano godere dei benefici, visto che il rischio d’impresa lo subiscono sulla propria pelle, quando le cose vanno male?

Probabilmente si tratta di ripensare i rapporti in azienda, motivando e coinvolgendo le persone tutte, anche perchè solo col contributo di tutti si potranno avere situazioni di “sviluppo sostenibile” finanziario, sociale e ambientale per le nostre realtà produttive: il successo di molte aziende cooperative dimostra che questo è possibile e funziona già in molte parti del nostro Paese. Va osservato che questo chiede che si dibatta di questi temi, che si guardi meno la tv commerciale (guasti di trentanni di una tv che ha addormentato le coscienze, con spettacoli che annullano tutti i benefici che si vorrebbero dalla “scuola cattolica finanziata”, rispetto a quella pubblica), mentre la stessa scuola dovrebbe abituare a lavorare in team, in gruppo, senza ulteriormente sviluppare quell’individualismo italiano, che sarà utile per la creatività, ma è un vincolo a organizzazioni efficienti, in grado di tener conto dei bisogni di tutte le persone, senza annullarle: lavorare in gruppo, condividendo idee e obiettivi, è una sfida aperta e purtroppo molto lontana…

Alessandra Tami



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