1 febbraio 2011

DOPO CALCHI TAEGGI. TRA IL DIRE E IL FARE


Lo scandalo di Calchi Taeggi ha avuto un’ampia risonanza mediatica nei giorni del sequestro dell’area da parte della magistratura, che ha ipotizzato vari reati penali (omessa bonifica, avvelenamento delle acque, gestione abusiva di rifiuti) non solo a carico dei proprietari dei terreni, ma anche di tre funzionari pubblici, indagati per aver autorizzato o comunque non impedito i reati sopraccitati. In quei giorni i partiti all’opposizione a Palazzo Marino hanno rilasciato varie dichiarazioni, che annunciavano iniziative volte sia a individuare le responsabilità politiche           di quanto successo, sia ad approntare con urgenza procedure più garantiste in tema di bonifiche. Vorrei dare un contributo per chi volesse davvero fare qualcosa.

Per individuare le responsabilità basterebbe prendere atto, ad esempio, che tra le competenze dell’assessore Masseroli, oltre a quelle proprie di un assessorato allo Sviluppo del Territorio, c’è anche quella della “promozione e sviluppo di iniziative per la bonifica del suolo e del sottosuolo”: in quale altra grande città si verifica un’anomalia del genere? E veniamo alla seconda questione, quella delle bonifiche. La posizione dell’assessore Masseroli è nota: “Se non si costruisce non si bonifica”. Un principio che condiziona e subordina pericolosamente il risanamento ambientale all’edificazione del territorio e che ha spinto l’Amministrazione a dare concessioni edilizie in anticipo a proprietari di terreni inquinati, che poi – magari con il placet dei funzionari – non sono stati bonificati a dovere.

Per Calchi Taeggi, ad esempio, l’approvazione del piano edilizio in Consiglio Comunale è avvenuta addirittura cinque mesi prima che fosse presentato (solo presentato!) da parte dei proprietari il relativo Piano operativo di bonifica (che si sarebbe rivelato solamente un piano di “messa in sicurezza permanente”, non di vera bonifica). Alla luce di quanto successo, è quindi necessario che il Consiglio comunale adotti procedure diverse, da sottoscrivere possibilmente prima di approvare il PGT, visto che le costruzioni nella Milano dei prossimi anni potrebbero in larga parte insistere su aree contaminate.

Si potrebbe cominciare a: 1) fare una mappatura completa, rendendola di dominio pubblico di tutte le aree di ex-cave nel Comune di Milano, ricostruendo la storia di ciascuna e i modi con cui sono state colmate; e di tutte le aree ex-industriali, documentando con precisione le attività produttive e i possibili rischi ambientali dei relativi siti. 2) non votare alcun piano di edificazione su quelle aree prima che venga approvato il relativo piano di bonifica, redatto in conformità alle leggi vigenti, e vengano accettati dai proprietari delle aree (con conseguente fideiussione) i costi economici delle operazioni da effettuare, come quantificati da organismi pubblici e indipendenti. 3) riservare ogni anno nel bilancio comunale un fondo per la bonifica/messa in sicurezza delle aree più compromesse in termini ambientali.

Qualcuno potrebbe pensare che si tratti di vincoli che allontaneranno gli interessi dei proprietari / costruttori, col pericolo che non si arrivi al recupero di aree troppo costose da bonificare. Ma se anche questo avvenisse, chi ha paura di lasciarle a verde pubblico, dopo averle messe in sicurezza? In ogni caso comunque sarebbe ora di applicare a ogni livello il principio del “chi inquina paga”, ma non sembra che chi governa voglia finalmente mettersi su questa strada, col risultato di continuare a dare enormi vantaggi agli speculatori e lasciare i guai alla comunità.

Sergio Pennacchietti



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