1 febbraio 2011

LA “PANZANA” INGREDIENTE DELLA POLITICA


Ripetere più volte una panzana con grande convinzione la rende verità inoppugnabile, come ben sanno i grandi mistificatori della storia e dei governi, tradizionalmente di casa nel nostro Paese. E’ solo grazie a questa regola aurea che dobbiamo subirci, per esempio, un articolo del ministro Gelmini sul Corriere della Sera corredato da foto e didascalia nella quale la miracolata di turno viene definita “avvocato specializzata in diritto amministrativo”: pur non volendo indagare, di questi tempi, sull’effettiva specializzazione della signora Gelmini, possiamo tranquillamente escludere infatti che l’avvocato bresciano laureata con grande fatica ed emigrata in quel di Catanzaro per sostenere l’esame di Stato, possa vantare qualsiasi titolo o esperienza che ne giustifichi la subliminale qualifica attribuitale.

La politica è sempre stata terreno fertile per lo sviluppo di rigogliose fanfaluche spacciate per verità, ma è indubbio che di questi tempi si stia arrivando a livelli produttivi sensazionali e alla loro per così dire “istituzionalizzazione”. Per corroborare la classica attribuzione di dottorati a improbabili manipolatori della parole non ci si accontenta più delle sole ciance dei lecchini di turno, si è pensato bene di attribuire al Cepu di Polidori e cugina (quella che comparendo da una porticina secondaria e cambiando il suo voto all’ultimo secondo ha consentito la fiducia al governo lo scorso 14 dicembre) di definirsi Ateneo con tutti i crismi e di distribuire così autentiche lauree senza dover passare per la Spagna e per il Liechtenstein per fastidiose apposizioni di timbri e relativi pagamenti.

Ma la più colossale panzana politico culturale che si aggira per l’Italia da ormai due decenni è quella del Federalismo: diventato il credo di Bossi e secessionisti vari dopo alcune veloci lezioni del professor Miglio (licenziato non appena lo stesso tentò di correggere gli elementari errori scientifici di quelli che credeva essere allievi volenterosi un po’ somari e che invece erano furbacchioni un po’ cialtroni e molto maleducati), negli anni è diventato un mantra che viene recitato dalla maggioranza di centro destra e da tutti i suoi ministri che non perdono occasione per dire che certo, se il federalismo non verrà realizzato subito l’Italia ripiomberà nel medioevo comunista e pauperista dal quale i luminari al Governo oggi l’hanno salvata…

Diviso tra coloro ai quali non può interessare di meno la cosa (il premier in carica e la maggior parte dei ministri) e quelli che non sanno di cosa si tratti ma suona bene da ripetere al bar del paese in valle, il Governo è però costretto a fare e dire ogni tanto qualcosa di “federalista” e non può quindi che affidarsi a Tremonti, l’unico o quasi che abbia letto un sufficiente numero di libri per inventarsi qualcosa di più credibile della fidanzata stabile di Berlusconi nel caso Ruby. Il geniale ministro, conscio del fatto che l’avviare una riforma federalista di uno Stato centralista è una cosa seria che può dare buoni risultati come in Spagna o pessimi come con la Regione Sicilia (eh, sì, da cinquanta anni ha più autonomia della mitica Catalogna!) ha pensato bene di utilizzare una formula utilizzata con successo dai prelati che con un bell’ “ego baptizo te piscem” risolvevano il problema del venerdì di magro.

Tremonti ha cominciato così ad appellare come “federalista” qualsiasi disposizione del suo superministero dell’Economia, dai tagli alle risorse agli enti locali alla centralizzazione del patrimonio pubblico. Il governo (Berlusconi) Tremonti ha realizzato negli ultimi due anni le più grandi operazioni di centralizzazione di poteri, risorse e istituzioni dal tempo dei viceré e dei prefetti di Napoleone e riesce a dire, senza alcun rossore e soprattutto senza che alcuno ne smascheri l’ipocrisia, che la sua ragion d’essere in carica in alternativa alle altrimenti inevitabili elezioni è la “realizzazione del federalismo”!

L’ultimo “pesce” ribattezzato “federalismo fiscale municipale” è una legge che realizza la completa dipendenza dei Comuni dalla legge finanziaria di Stato: a) i Municipi infatti non potranno più disporre del proprio patrimonio se non per destinarlo a diminuire il debito pubblico dello Stato; b) non dispongono di entrate fiscale proprie autonome sostitutive (e non aggiuntive) rispetto alla fiscalità centrale, cui vengono ammessi in misura irrisoria come “compartecipi” e senza alcuna possibilità di influire sulla misura e la natura delle imposte; c) hanno già subito un taglio “lineare” (vuol dire uguale per tutti, per virtuosi e bravi padani come per scialacquatori terroni, tanto per capirci anche al solito bar della val Trompia) che rende impossibile la redazione di bilanci non basati su fantasiose speranze di entrate incerte, come ha fatto la sciura Moratti a Milano (peraltro senza riuscire ad approvarlo nemmeno nella versione libro dei sogni, troppo distratta come è dal rimirarsi nello specchio virtuale della tv clandestina e costosissima della sua campagna elettorale); d) rimanda al 2014, senza dire cosa succederà nel frattempo, la definizione di un po’ di fiscalità sugli immobili, che comunque e per sicurezza resta determinata dalla “legge di stabilità” (quindi dal ministro di Stato dell’Economia) quanto ad ammontare e modalità …

Rosmini e Cattaneo, quest’ultimo già deluso in vita dall’aver consegnato un grande ideale ai Savoia, possono solo rivoltarsi nella loro tomba, ma i federalisti e i buoni italiani d’oggi non potrebbero iniziare dal pretendere almeno la corrispondenza tra realtà e denominazione?

Franco D’Alfonso



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