18 gennaio 2011

SALUTE DEI CITTADINI E RESPONSABILITÁ DEL SINDACO/1


Il sindaco è il responsabile della condizione di salute della popolazione del suo territorio. Il consiglio comunale condivide questa responsabilità. Allo stato attuale, per una modifica della legge 833/78 non sono più i sindaci a gestire il servizio sanitario anche se a essi sono affidati dal DLg 299/99 (decreto Bindi) poteri di programmazione, di controllo e di giudizio sull’operato del direttore generale delle ASL. I compiti del sindaco sono quindi comunque ampi, soprattutto il sindaco deve conoscere lo stato di salute della popolazione, deve prendere provvedimenti se le condizioni ambientali sono invivibili, se esistono pericoli incombenti e, per la direttiva Seveso, deve informare la popolazione dei rischi rilevanti cui è sottoposta.

La sezione milanese di Medicina Democratica ha avviato una riflessione sul tema della salute sperando che possa essere di stimolo a un dibattito nell’ambito dei programmi elettorali per il rinnovo del consiglio comunale. Dobbiamo risalire al biennio rosso, nei due anni immediatamente prima del fascismo per trovare un sindaco socialista, Angelo Filippetti, medico, che ha messo al centro del suo intervento la lotta per la salute e contro l’emarginazione. Non per nulla aveva fondato i circoli rionali “fate largo alla povera gente“. In epoca più recente, sull’onda delle lotte operaie Milano ha avuto un breve periodo nel quale la difesa della salute è stata messa al centro delle preoccupazioni sociali. Gli anni ’70 hanno visto, a partire dalle fabbriche, un vasto interesse per la salute; decisivo fu di nuovo un medico, anche se non era sindaco: Giulio Maccacaro, direttore dell’Istituto di Biometria che ebbe fra i molti suoi meriti quello di portare l’epidemiologia in Italia e di operare per la difesa della salute degli sfruttati.

Un’amministrazione diversa deve partire da qui, dal diritto alla salute della popolazione. La salute non è certamente l’unico problema di Milano, tuttavia, proprio per la condizione materiale e morale in cui si trova la città, può diventare una sorta di “filtro”, attraverso cui fare passare tutti gli altri problemi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel documento di Ottawa del 1986 indica alcuni prerequisiti senza i quali è impossibile esercitare il diritto alla salute. Essi sono: la casa, la scuola, i trasporti, la salubrità ambientale, la cultura, la sanità pubblica, l’assistenza sociale. Secondo questa concezione non si tratta di opzioni, dipendenti dalla entità della finanza pubblica, ma di un diritto perfetto (non di un interesse legittimo), in altri termini i servizi per dare risposte a tali bisogni essenziali costituiscono un diritto esigibile. Per lavorare su questo è necessario che vi sia il coinvolgimento e la partecipazione delle forze sociali organizzate. I movimenti e le associazioni sono i principali soggetti di partecipazione di un Comune: forme di partecipazione alla vita del comune sono previste pure dalla legge 142/90.

Occorre per primo identificare le cause che generano disagi, malattia e morte e cercare di formulare un piano di prevenzione per combatterle, arrivare alla loro riduzione ed eliminazione. In proposito occorre promuovere, in collaborazione con l’ASL un’indagine sullo stato di salute della popolazione che inizi a raccogliere e ordinare i dati sparsi che già ci sono. Ovviamente nulla di questo è stato fatto finora. Forse nessuno in questi anni se n’è accorto ma nel Comune di Milano esiste un Assessorato alla Salute. I suoi compiti sarebbero quelli di tutelare la salute dei cittadini interagendo con le altre istituzioni effettivamente preposte all’organizzazione dei servizi sanitari: Regione e ASL. Un ruolo attivo nella prevenzione soprattutto igienico ambientale, ma non solo, e di indirizzo e di controllo riguardo alle politiche sanitarie regionali.

Il Comune di Milano, che non ha nemmeno sentito l’obbligo morale di costituirsi parte civile nel processo contro la clinica Santa Rita, come se la salute dei suoi cittadini non lo riguardasse per niente, deve riprendere in mano le proprie prerogative e occuparsi di quanto detto sopra anche attraverso una operazione culturale volta a fronteggiare il consumismo sanitario (funzionale a questa medicina governata più dagli interessi economici che da quelli della salute), a promuovere stili e ambienti di vita e lavoro salubri (a partire dal blocco delle esternalizzazioni delle proprie competenze), a mettere a disposizione spazi e strutture per la collettività: ad esempio reperendo locali per favorire le associazioni e la partecipazione dei cittadini e consentire a costi equi l’apertura di medicine di gruppo di medici di base integrate ai servizi, favorendo la medicina del territorio sempre promossa a parole e mai sviluppata nei fatti.

In un programma che si occupa di salute nel contesto milanese non si può tacere di EXPO 2015. Tanto più che il titolo si propone estremamente ambizioso: Nutrire il pianeta, energia per la vita. In realtà sembra che quello dell’alimentazione sia solo un pretesto per cementificare la città in altri mille modi. Spese grandissime, in tempo di crisi, e educazione alimentare e alla salute bassissima. Milano appare ed è la città del cemento. Gli spazi verdi sono ben poca cosa. Più il cemento avanza, meno la salute dei cittadini si afferma. La proposta consiste nell’indirizzare i fondi a favore d’interventi di educazione alimentare per la popolazione a cominciare dagli studenti, tornando a gestire in proprio le mense scolastiche, un volto fiore all’occhiello e modello nel mondo e oggi gestite da Milano Ristorazione in maniera pessima e in assoluta mancanza di trasparenza. Oltre naturalmente a dedicare tempo, spazio e risorse all’approfondimento delle vere cause della fame e della miseria mondiale.

Maurizio Bardi



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