18 gennaio 2011

FEDERALISMO FISCALE, RUBERIE E SANITÀ


Nell’ottobre del 2008 su queste pagine avevamo ragionato sul federalismo regionale e sul federalismo fiscale per la cui realizzazione consideravamo essenziale ribadire i principi di sussidiarietà, indipendenza e solidarietà, superando una gretta logica localista, sviluppando una politica economico – sociale che vedesse nel regional – federalismo un importante mezzo di partecipazione ed efficienza, realizzando con questa riforma una più completa forma di democrazia partecipata. Si chiariva inoltre che l’obiettivo finale della riforma fiscale fosse quello di attribuire maggiore efficienza alla produzione di servizi pubblici locali e si suggeriva l’applicazione di una tassa comunale unica, collegata al tenore di vita del cittadino, il cosiddetto previsto “riccometro”.

Finalmente dopo tanto discutere, dalle leggi Bassanini degli ultimi anni novanta, alla riforma del Titolo V della Costituzione e all’approvazione della legge delega del 2009, che (prevede attraverso decreti legislativi la riforma dell’autonomia finanziaria di regioni, province e comuni), ci si sta muovendo concretamente per realizzare la riforma entro il 2015. Massimo Bordignon, professore straordinario di Scienza delle Finanze all’Università Cattolica di Milano, indica sinteticamente la logica del federalismo fiscale con queste parole: “Gli Enti territoriali di governo devono essere finanziati sulla base del principio del fabbisogno o spesa necessaria per le funzioni che investono diritti fondamentali di cittadinanza quali sanità, assistenza, istruzione e mobilità. E viceversa, siano finanziati sulla base del principio della capacità fiscale per le restanti funzioni, su cui non esiste un interesse nazionale così palese”.

In parole povere, una volta stabiliti a livello nazionale i LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni) sanitari, assistenziali, educativi ecc. e il loro “costo standard”, spetta allo Stato il loro finanziamento e la loro copertura al cento per cento; mentre per tutti gli altri interventi le singole regioni, province e comuni potranno intervenire a seconda delle loro capacità fiscali, pertanto senza alcun intervento statale. Oggi lo Stato copre totalmente le spese sostenute dalle Regioni per i LEP, ma la legge prevede entro il 2015 il passaggio dall’attuale “spesa storica” o “a piè di lista” ai “costi standard”, cioè al “prezzo giusto” equivalente al costo “pagato” dalle Regioni più virtuose per erogare ai propri cittadini i servizi essenziali. A questo importantissimo principio di responsabilità va aggiunto il principio di equità e di solidarietà, infatti entro il 2014 dovrebbe entrare in funzione un “fondo di perequazione statale” a favore delle Regioni con minore capacità fiscale (quelle che non ricaveranno dai propri contribuenti le risorse sufficienti a finanziare i servizi di base) e sarà alimentato dal gettito prodotto nelle singole regioni.

Finalmente ci troviamo di fronte a una forte volontà politica, espressa dalla stragrande maggioranza dei partiti, per attuare una riforma che considero essenziale per il nostro Paese, anche se a mio avviso da parte di diversi politici e dei media viene enfatizzato quale obiettivo della riforma la riduzione dei costi, con il rischio di ridurre le garanzie dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e peggio ancora dei livelli essenziali di assistenza sanitaria (LEA). Il fabbisogno sanitario nazionale deve essere definito sulla base non solo dei vincoli di finanza pubblica, ma innanzitutto dai livelli di assistenza da garantire. Per realizzare adeguatamente la riforma fiscale nella sanità, per esempio, è necessario raccogliere le indicazioni e i bisogni dei cittadini delle diverse Regioni, poiché è attorno a essi che deve ruotare la riorganizzazione delle prestazioni e la loro ottimizzazione.

Giustamente, come dice Pietro Cerrito sulle pagine di Conquiste del Lavoro, quotidiano della CISL: “Ci sono due elementi che giocano un ruolo decisivo, che ci aiutano a comprendere che il federalismo in sanità non si caratterizza solo per la definizione dei costi standard: da una parte l’iniquità palese dell’offerta esistente in termini di assistenza sanitaria e socio – sanitaria, derivante da vizi e virtù degli attuali sistemi regionali, e dall’altra la necessità di verificare e raggiungere anche le trasformazioni che sta subendo la domanda di salute, che va modificandosi col variare della dinamica demografica. Inoltre esiste la necessità di programmare e governare la spesa, ottimizzare l’uso delle risorse in termini di sostegno alle persone, promuovere un approccio alla salute integrato (stili di vita, fattori di rischio, abitudini alimentari), offrire un’assistenza qualitativamente elevata, attraverso l’utilizzo delle tecnologie e con personale adeguatamente formato e motivato; tutto ciò resta dietro ai numeri che vengono ipotizzati e proiettati con la definizione dei costi standard in sanità”.

Oggi infatti è assolutamente semplicistico se non illusorio ritenere che non ci siano costi diversi nella fornitura di servizi quali istruzione, assistenza ospedaliera, etc. a livello territoriale pur utilizzando le stesse tecnologie ovunque. La causa di questo fenomeno dipende da diversi fattori che vanno: 1) dall’estensione dei vari territori regionali in rapporto alla loro configurazione più o meno montuosa; 2) dalle caratteristiche anagrafiche delle popolazioni interessate (regioni più giovani come la Lombardia e il Veneto o più vecchie come la Campania con maggiori costi); 3) dagli specifici rischi di malattia e mortalità; 4) dalle diverse capacità di spesa (nelle regioni più ricche si accede più facilmente alla sanità privata con relativo risparmio dell’ente pubblico); 5) dal sistema infrastrutturale (infrastrutture sanitarie inefficienti e vetuste creano costi).

E’ bene, oggi, evitare di dare i “numeri” sui risparmi che dovrebbero derivare dall’attuazione della riforma, perché i cittadini chiedono innanzitutto recuperi di efficienza economica che si possono realizzare con interventi e investimenti adeguati necessari a ristrutturare gli ospedali dismessi, ad aumentare l’offerta alternativa all’ospedale, ad attuare la prevenzione, a sviluppare la sanità elettronica più aggiornata, etc. Solo dopo questi interventi, previsti entro il 2015, i “costi standard” saranno identificabili in termini equi e precisi, con chiarezza e trasparenza evitando false speranze di miracolistiche riduzioni di spesa e relativa diminuzione delle tasse e del peso fiscale. Il processo del federalismo fiscale specialmente nel settore sanitario deve diventare un’opportunità per liberare il settore da zavorre, ruberie e sprechi affermando un diritto alla salute pieno e universale per tutti i cittadini.

Giovanni Agnesi



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