11 gennaio 2011

MODERATI. IL VESTITO DI ARLECCHINO


I “consumatori” della politica dovrebbero protestare: l’etichetta di moderato non risponde alla norma che prevede per un’etichetta l’indicazione chiara del contenuto e le sue origini. Oggi l’etichetta “moderato” la troviamo incollata un po’ dappertutto e il suo significato non è chiaro. Se dovessimo andare a vedere quali e quanti movimenti o formazioni politiche si autodefiniscono moderati ci perderemmo in un labirinto ideologico dove ognuno si attribuisce il moderatismo, quasi fosse una virtù cardinale.

Il terzo polo ci inzuppa il pane e ce lo inzuppa anche pensando alla politica locale e si lancia per le prossime amministrative in città alla cattura di quegli elettori che, senza pensarci su molto, si autodefinirebbero “moderati”. Lasciamo da parte il dibattito aperto tra chi fa coincidere il moderatismo con il centrismo o viceversa perché non è questa la sede ma guardiamo al futuro politico più prossimo della città. I fatti che condizionano ancora tutte le scelte sulle strategie per le prossime amministrative sono due: la clava che Bossi fa roteare sulla testa di tutti, le elezioni anticipate, e la minaccia di candidare un suo uomo a sindaco di Milano non accontentandosi forse di un vicesindaco per di più a mezzadria.

Le due questioni rendono comunque incerto lo scenario ma la cosa pare non preoccupare i terzo polisti (moderati) che, se imboccheranno definitivamente la strada di presentare a Milano una lista e un candidato sindaco, lo fanno soprattutto pensando alle prossime politiche non certo presi dalla brama di portarsi a casa uno o forse due consiglieri in un Consiglio che conta ormai purtroppo come il due di coppe, sia che si sieda dalla parte della maggioranza sia dell’opposizione, perche a governare sono solo sindaco e Giunta. Con questo contemporaneamente si conferma il destino della politica milanese: mai per sé ma sempre pensando a Roma. Detto questo, torniamo al tema: i moderati. Nello scenario milanese sembra di poter leggere che il terzo polo nasca soprattutto come contrappeso a una candidatura, quella di Giuliano Pisapia, sbilanciata a sinistra e che susciterebbe preoccupazioni tra i “moderati” milanesi che temono una politica locale virante al rosso e magari, perché no, un tantino “rivoluzionaria” e comunque con una forte influenza del Pd, partito che non ha certo brillato negli ultimi tempi nel campo delle proposte politiche. Su quest’ultima ragione si può anche convenire ma sul timore del rosso proprio no.

Se andiamo a leggere il programma con il quale Giuliano Pisapia si è presentato alle primarie, certo il contenuto rivoluzionario o estremista è difficile da trovare, a meno che non sia da considerare estremismo volere servizi pubblici efficienti, voler dare una casa ai ceti meno abbienti, non essere razzisti, amare la legalità o cercare di spender bene i soldi della collettività senza mangiarci sopra e allevare clientele, e così via con le normali attese della maggioranza dei cittadini. I moderati temono che una nuova amministrazione metta le mani nelle loro tasche, come ossessivamente ripete Berlusconi? Difficile che possa e voglia farlo salvo reintroducendo l’addizionale Irpef, e se lo farà sarà sulla punta delle lance dell’intera città che vede drammaticamente ridotti i servizi a cominciare dai trasporti pubblici e che si accorge di pagare comunque le tasse giorno per giorno sui biglietti del tram o sulle bollette dell’acqua.

D’altra parte, come ho più volte ripetuto, il confronto tra programmi spesso simili tra loro non servirà gran che all’elettore per scegliere, perché dovrebbe soprattutto valutare quanto un sindaco e la sua squadra siano in grado di mantener fede alle promesse fatte – il programma – in campagna elettorale. Purtroppo i tempi che corrono e le ristrettezze di bilancio sono una sorta di assoluzione generale per gli incapaci di oggi e c’è una sola cosa certa: chiunque prenderà in mano le redini del Comune troverà casse vuote e patrimonio mangiato. Se la sinistra vincerà, avrà il suo compito storico di sempre: chiedere lacrime e sangue per rimettere le cose a posto e vedersi cacciata da un’opposizione che potrà permettersi di dilapidare di nuovo il capitale ricostituito dopo essere stata eletta giocando sull’inevitabile scontento che lacrime e sangue comportano, la stagione della formica e quella della cicala. Per tornare alla strategia di una campagna elettorale vale la pena di aggiungere ancora qualche considerazione.

A Milano il successo di una lista è strettamente legato alla notorietà e al grado di gradimento e di affidabilità del suo leader, il candidato sindaco; quasi sempre la vittoria di un candidato è stata determinata da una minoranza riflessiva, vuoi determinata nel voto, vuoi determinata nel non andare a votare; i programmi non sono decisivi perché poco noti o troppo simili. Di queste considerazioni l’ultima è la più importante: se la gente non guarda ai programmi, e i partiti lo sanno, per connotarsi trasferiranno in sede locale i dibattiti nazionali. Proseguirà qui lo scontro sui temi sensibili e dunque si riprodurranno le divisioni che conosciamo: cattolici versus laici, cattolici di destra versus cattolici di sinistra, sinistra versus se stessa e tutte le combinazioni possibili dei quattro elementi. Probabilmente sentiremo parlare di bioetica, di coppie di fatto, di testamento biologico, di privatizzazioni sussidiarie e di tutto il resto. Dio solo sa quanto questo “ci azzecchi” con i trasporti che non vanno, con l’inquinamento, con la disoccupazione, con le scuole che vanno a pezzi e la mancanza di carta igienica degli asili, le buche nelle strade e per finire con tutti i principali problemi locali. Così va il mondo.



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