11 gennaio 2011

RIPENSARE LO SVILUPPO: IL BELLO, L’UTILE E IL PIL


A fine anno è periodo di bilanci, consuntivi e previsionali. Leggendo alcuni commenti sulla finanziaria, sulle scelte operate, sugli interventi previsti, anche su quotidiani economici significativi, è stato riportata la richiesta, pur troppo soddisfatta, dei sindaci di poter continuare a usare gli oneri di urbanizzazione per le spese correnti: e questo dopo un tragico novembre che ha visto i fiumi esondare, e fare notevoli danni, semplicemente perché a) le aree naturali in cui potevano uscire sono state spesse urbanizzate, b) strade, cortili lastricati, edilizia abitativa diffusa, anche superiore alle richieste (vedi quanto è invenduto) hanno consumato suolo e cementificato il terreno, rendendo più veloce il riempimento dei fiumi, in quanto non c’è area che assorbe, e nello stesso tempo le secche saranno maggiori, in quanto non c’è più il rilascio graduale.

Nonostante i richiami ai danni di una cementificazione crescente, si mantiene una norma che ha favorito, da quando è in vigore (soprattutto governi Berlusconi) solo la speculazione edilizia e ha danneggiato il paesaggio italiano, vero bene comune e giacimento dell’Italia. Fino a 15 anni fa gli oneri di urbanizzazione potevano essere utilizzati solo per spese in conto capitale, ovvero strade, servizi, fogne, acquedotto a servizio delle zone urbanizzate: destinarle a spese correnti equivale alla scelta di una famiglia che si vende la casa per finanziarie le spese giornaliere superflue. E’ necessario ripensare, ristrutturare il vecchio. Tenendo conto che le case italiane sono state spesso costruite dopo la guerra e hanno mediamente 50 anni e più, si può notare che per le imprese edilizie ci sarebbe sufficiente lavoro per renderle adeguate in termini di servizi, di riduzione dei consumi energetici, ecc, e i comuni potrebbero trarne vantaggi prevedendo un minimo contributo su tali interventi. Guardando le periferie delle città si nota che non tutto è bello e da mantenere: ristrutturare, risanare, attraverso un lavoro che faccia partecipare i cittadini creerebbe ricchezza per tutti, senza occupare nuove aree verdi e tutelando perciò anche “le generazioni future”.

Inoltre, come il maggior esperto di slow food, (Petrini) osserva, posto che il cibo italiano è uno dei fattori di competitività della nostra economia, occorre rimettere l’agricoltura al centro del progetto di sviluppo. Un’agricoltura attiva, con sufficienti spazi vitali, nelle logiche della nuova politica agricola comunitaria (PAC), rappresenterebbe anche una soluzione al tema del mantenimento e della cura del verde. Il problema è di avere aziende agricole redditizie, anche grazie a fonti integrative di reddito, che possono venire dalle energie alternative, come il fotovoltaico, ma questo posto non sul terreno, ma in alto, sui tetti e sulle serre, in modo che la terra resti coltivabile e gli agricoltori possano integrare i redditi agrari, per definizione legati all’andamento dei mercati. Oscillazioni dei prezzi, insieme alle differenze fra prezzo alla produzione e prezzo sui banchi dei supermercati sono fattori che richiedono adeguate strategie di attacco, da un rapporto di filiera più attento tra distribuzione e produzione, che deve considerare la necessità di far sopravvivere l’agricoltura e di non accaparramento di tutto il margine da parte degli intermediari.

Nello stesso modo per una edilizia più ecocompatibile occorre ripensare la creazione dei centri commerciali: occupano aree verdi che potrebbero meglio essere destinate all’agricoltura, mentre fanno morire i centri delle piccole (e grandi) città; ristrutturare i centri storici, sia con aree pedonali, ma anche con edifici destinati a parcheggi, (senza fare buchi in aree ricche di acqua e quindi con problemi spesso difficili di impermeabilizzazione), con aree destinate allo shopping razionali, salverebbe il verde e l’economia dei piccoli centri.

Come suggeriscono le iniziative per il passaggio da indicatori dell’andamento dell’economia che superino i limiti del PIL, in modo da considerare anche il consumo di risorse naturali ora non misurato, ripensare all’agricoltura come fattore di sviluppo economico e non considerare solo l’industria e l’edilizia, risponderebbe anche all’esigenza di rilanciare l’economia dopo la pesante crisi determinata dalle scelte estreme di finanziarizzazione dell’economia stessa. Ma occorre buona volontà, attenzione al bene comune e non solo all’interesse individuale di breve periodo. La scelta è difficile, ma è necessario ripensare il nostro modello di sviluppo.

Alessandra Tami



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