11 gennaio 2011

CITY USERS E RIFIUTI. CHI PAGA


Se la Lombardia può ritenersi a buon diritto una regione relativamente “virtuosa” anche sul versante della raccolta differenziata dei rifiuti solidi urbani (tenuto conto che il raffronto con la regione più “dissoluta” in materia nemmeno si pone!) resta da spiegare perché il suo capoluogo lo sia mediamente molto meno. Ci si aspetterebbe infatti che la “capitale” della regione più importante del Paese dia l’esempio – come certamente avviene in altri campi – e riesca a trascinare una buona pratica che, oltre ad avere importanti ricadute sul piano ecologico ed economico, rappresenta un indicatore significativo di maturità collettiva. Infatti la media della regione si attesta sul 48%, con punte di oltre il 70% in alcuni piccoli comuni e circa il 50% in comuni medi come Bergamo e Lecco, mentre Milano città raggiunge appena il 32%. Metà di tale frazione è costituita dalla carta, mentre “l’umido” è ridotto a percentuali marginali.

Naturalmente la spiegazione di tale divario risiede in ragioni oggettive, che vanno oltre la buona volontà degli abitanti, e in parte degli stessi amministratori, e sono invece da ricercare nella maggior complessità della vita metropolitana che intreccia in modo stretto le funzioni abitative con molteplici attività economiche e commerciali, di servizio e di tempo libero. Responsabili ne sono in larga parte le centinaia di migliaia di cosiddetti “city users” che raggiungono quotidianamente la città portandovi, insieme a lavoro e reddito, anche inquinamento, traffico e appunto rifiuti. Circa i primi due fattori si è tuttavia cercato di contrastare il disagio, sia pure parzialmente e inadeguatamente, con l’ecopass e parcheggi riservati; invece sul versante dei rifiuti è del tutto mancata qualsiasi misura di incentivazione/disincentivazione.

Quale incentivo a effettuare la raccolta differenziata, ad esempio, può avere un lavoratore dipendente pendolare allorché la tassa rifiuti individuale gli viene addebitata nel paese di provenienza mentre quella legata al posto di lavoro viene “pagata dalla ditta”? E gli artigiani e operatori vari che hanno sede legale in provincia? Il tasso di differenziazione della raccolta rifiuti è legato non solo all’educazione e sensibilità ambientale bensì anche alla prospettiva di riduzione dei costi di smaltimento. I comuni “virtuosi” infatti possono dimostrare una correlazione positiva tra risultati della raccolta differenziata, abbattimento dei costi di smaltimento e ammontare della relativa tassa, accompagnando un argomento tangibile alle pur doverose campagne di educazione e informazione. Per contro Milano si sobbarca, a carico del proprio bilancio comunale, l’onere aggiuntivo pagando a proprie spese il noto principio “non c’è tassazione senza rappresentanza”!

Non sarebbe allora il caso di rimettere le cose a posto rendendo finalmente coerenti i diritti/doveri formali (votazione e tassazione, legate all’anagrafe) con quelli sostanziali (effettivo uso della città e dei suoi servizi, pesantemente influenzato dal “pendolarismo”)? Si tratterebbe allora di spostare, almeno in parte, la tassazione verso una istituzione metropolitana che, considerando finalmente i “city users” quali cittadini a tutti gli effetti, compensi oneri e vantaggi, fatte salve le competenze organizzative dei singoli comuni nonché, a Milano, di un decentramento amministrativo autentico che riesca a raggiungere in modo capillare i quartieri e le diverse realtà di vicinato.

Ragionando su questo tema (analogamente a quanto riguarda territorio, mobilità, inquinamento, regime delle acque, risparmio energetico, ecc.) la logica non può che portare allo sbocco politico-amministrativo del livello istituzionale metropolitano. Come ha notato Gian Maria Bernareggi: “un contributo sostanzioso alla soluzione del problema potrebbe essere dato dall’istituzione di un  governo locale di livello sovra-comunale  con competenza sull’intera area metropolitana: la Città Metropolitana che, sulla carta, dovrebbe esistere da quasi vent’anni. In questo modo l'”esternalità” generata dalla PNR (popolazione non residente) giornaliera sarebbe, nella terminologia degli economisti, “internalizzata”, nel senso che i suoi componenti – per lo meno, quelli provenienti dall’area metropolitana – riceverebbero lo status di residenti nel territorio del nuovo ente, eliminando  il problema alla radice”.(*)

Purtroppo si tratta di un’ipotesi del tutto teorica stante la pervicace inerzia di pressoché tutto lo schieramento politico a mettere mano ad una riforma sempre annunciata (ancora la legge delega sul “federalismo fiscale” – n. 42/2009 art. 23 – contiene, con la cadenza delle grida spagnolesche, l’ennesima “disciplina per la prima istituzione” delle città metropolitane) e invece nei fatti contraddetta mediante lo smembramento di nuove province. Pure la speranza che razionalità e funzionalità possano ancora riaffacciarsi – almeno nelle intenzioni di un programma elettorale – non andrebbe abbandonata nel momento in cui la sempre sottovalutata “ingegneria” istituzionale viene a cadere nientemeno che nelle mani dei progettisti addetti ai lavori dell’Officina!

Valentino Ballabio

(*) G.M. Bernareggi, “Pendolari e non solo, un problema per le finanze del Comune”, Arcipelagomilano, n.1/2009

 

 

 

 



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