11 gennaio 2011

PROMEMORIA PER UN NUOVO PGT


Si avvicina il 14 febbraio. San Valentino. Potremmo quindi parlare di come la ricorrenza di un martire cristiano si sia evoluta nel consumistico rito della festa degli innamorati. Oppure ragionare su uno degli eventi più sanguinosi nella storia della malavita organizzata, la strage di San Valentino, avvenuta il 14 febbraio 1929, quando Al Capone e la sua banda sterminarono i rivali capeggiati da Bugs Moran. E invece vogliamo occuparci, con una certa dose di masochismo (visto che è il primo numero dell’anno nuovo), ancora una volta di PGT. Perché il 14 febbraio 2011 scadono i termini per l’approvazione definiva dello strumento urbanistico, pena il suo decadimento. Se non lo si approva entro quella data, bisognerà iniziare tutto da capo, dopo le prossime elezioni. Senza escludere la possibilità di un commissariamento. A meno di interventi salvagente della Regione.

Al momento si discute di come discutere le osservazioni (più di 4.000) presentate dai cittadini e dalle associazioni. Quindi ad oggi non sappiamo se il PGT verrà approvato (i meglio informati pubblicamente dichiarano che “ovviamente sì, ci mancherebbe” e poi in privato ti confidano che “non passerà mai ed è meglio così”), né in che forma (ovvero se e come verrà modificato dalle osservazioni). Pertanto mi è stato chiesto di ragionare a prescindere. Di provare a fissare quelli che sono i punti di un ipotetico PGT alternativo a quello “attuale”. Una sorta di promemoria per un nuovo PGT o per modificare profondamente quello che verrà (?) approvato.

Per motivi pratici ho cercato di utilizzare come traccia il PGT in discussione, che rimane nel bene e nel male l’unico elemento con cui confrontarsi. Una piccola considerazione a margine. I limiti del PGT sono da ricercarsi nella Legge Regionale 12/2005, da cui lo strumento discende. Pertanto anche questo piccolo esercizio accademico rispetta le stesse regole del gioco. Un piano efficace, per essere tale, dovrebbe essere costituito di poche norme, chiare e non aggirabili. Con la consapevolezza che soldi pubblici non ce ne sono e, per realizzare i servizi necessari, serve un Comune forte e autorevole, che sia capace di concedere ai privati in nome di una pubblica utilità reale e non di facciata.

La prima questione è quella delle aree dei grandi progetti urbani, quelle su cui si imposta veramente la strategia di trasformazione della città, per dirla come Cesare Macchi Cassia. Il PGT chiama ATU queste aree: ambiti di trasformazione urbanistica. Quelle che “fanno” la città. Ma anche quelle che si “fanno” con i quattrini dei grandi investitori. Il concetto base è quello – già presente né “I nove parchi per Milano” di Pierluigi Nicolin – di ricavare da ogni area un parco urbano compatto e permettere edificazione tutt’intorno. Questi ambiti sono anche gli unici da cui si può ricavare housing sociale a costo zero per il Comune. Quindi la mia proposta è di confermare la norma come è, ma eliminando la possibilità di fare altro rispetto all’edilizia pubblica. Al limite si possono rivedere i perimetri e specificare meglio le opere da realizzare a scomputo oneri, invece di lasciare libera iniziativa ai privati. Ma per questo ci vuole un efficace piano dei servizi.

La perequazione nasce come strumento per acquisire aree a standard a costo zero. Visto che i soldi non ci sono, mi sembra una norma di buon senso. Ma vale solo per questi interventi e non deve andare ad alimentare il Borsino delle volumetrie. E non deve valere per il Parco Sud. O per le fasce di rispetto. In altri termini se questo è un piano di ispirazione liberale non ha senso introdurre un principio egualitario per cui tutte le aree devono esprimere un diritto edificatorio. Dove sta scritto? Da quel che mi ricordo di aver studiato a scuola la cultura liberale sostiene la specificità e la diversità di ogni individuo ed è il socialismo reale che ci vuole tutti uguali. Quindi per coerenza se sono proprietario di un’area agricola, liberalmente parlando, me la tengo così come è. Ne consegue che il Borsino per le volumetrie non deve esistere se non per le aree destinate a standard dal piano dei servizi di cui sopra. E le volumetrie devono essere spendibili solo per “densificare” gli ATU (così salviamo pure questo neologismo). Vogliamo l’indice unico e l’indifferenziazione funzionale? Va bene, ma solo per il Tessuto di Recente Formazione, che va comunque ridefinito nei suoi perimetri e nelle sue modalità di intervento (certe norme sull’allineamento dei nuovi edifici a quelli esistenti se non modificate potrebbero portare a strade-canyon). Nel centro storico si procede solo per piani attuativi e per buonsenso (difficile, ma non impossibile metterlo su carta).

Il piano dei servizi del PGT è la classica montagna che ha partorito un topolino. Grande mole di indagini (ma fatte come?) e un apparato progettuale indegno di uno studente di urbanistica del primo anno. Guardate le schede dei NIL (Nuclei identità locale) se non ci credete. Anche qui non serve inventare nulla di strano. Basta specificare quali servizi servono (scusate il bisticcio di parole) realmente per ogni area (continuiamo pure chiamarle NIL, ma anche Ernesto, se preferite) e avere la capacità (volontà?) di inserirli per la maggior parte negli ATU (quindi con maggiore probabilità di essere realizzati).

Ai servizi si lega il tema dei trasporti. Le dieci velleitarie linee della metropolitana annunciate in realtà sono, nella migliore delle ipotesi linee tramviarie. Ma se dobbiamo fidarci di quanto detto, anche in queste pagine da Marco Ponti, il tram è antieconomico e in epoca di pochi danè è meglio convogliare le risorse in mezzi più flessibili, in attesa che il Cipe ogni tanto sblocchi qualche fondo per la metropolitana. Del traffico il PGT non parla, delegando al piano omonimo la risoluzione di tutti i problemi. Io mi limito a due righe. Ecopass? Sì, ma con giudizio. Strisce blu? Togliere quelle in zone periferiche che sono comparse negli ultimi mesi. Tunnel? No, grazie.

Il tema del verde è sempre a rischio di demagogia. C’è un termine che mi piace molto, “verdolatria”, che sintetizza in modo efficace l’atteggiamento da evitare. A Milano manca il verde? Forse, ma non è realizzando un fazzoletto verde in ogni buco libero che si risolve il problema. Il verde deve avere un senso ed essere fruibile. Meglio quindi pochi parchi urbani che tanti giardinetti. In teoria quelli previsti dagli ATU bastano. Inoltre non credo che a Milano le ciclabili avranno mai grande successo – manca la cultura -, ma di sicuro realizzarne tratti isolati che non collegano nulla, è il modo migliore per far passare la voglia a quei pochi temerari.

Termino con una domanda. Il PGT ha norme o strategie che riguardano il settore produttivo? Forse ho letto male io le tante pagine, ma non mi sembra di aver visto nulla di specifico. E va bene che ormai Milano è una città di servizi, va bene che siamo in epoca postindustriale, va bene che siamo tutti troppo fighetti per andare a lavorare in fabbrica, insomma va bene tutto, ma contemplare la possibilità remota ed eventuale che sul territorio comunale si possa pure in via del tutto eccezionale e teorica produrre qualcosa è proprio un’eresia? Vien da pensare che Marchionne non abbia tutti i torti…

Pietro Cafiero



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