21 dicembre 2010

TOMMASO PADOA SCHIOPPA E IL FANTASMA DELL’ICI


Tommaso Padoa Schioppa non è più ma ci ha lasciato una ricca eredità e in questa una sua famosa indimenticata frase: le “tasse sono una cosa bellissima“. Più che la battuta “bamboccioni”, l’icastica affermazione della qualità estetica delle tasse descrive, senza bisogno di altre parole, il profilo di un tecnocrate cresciuto con i numeri in una tasca e il Vangelo nell’altra. Ovviamente, non è dei tecnocrati il riscuotere consenso. Così dai banchi dell’opposizione (Cicchitto) e della maggioranza (Capezzone) piovvero strali, distinguo, e pure qualche insulto. Soprattutto fiorirono su tante bocche di italiani sbiechi sorrisi di compatimento, come a dire “poveretto, vive in un mondo tutto suo, non sa che siamo in Italia e che qui Verità e Giustizia non pagano. Mai”. Ora il solo fatto che un aborto morale come Capezzone abbia dato del Marziano a una persona della statura intellettuale e morale quale Padoa Schioppa, già di per sé chiarisce dove fosse il Torto e dove la Ragione. Come che fosse, questi dovette presto andarsene, accompagnando nell’amaro destino l’amico e principe della specie: Romano Prodi.

Ora che è scomparso, e che, sotto il peso della crisi, lentamente sfuma il sentire della rivolta fiscale e si accredita sempre più quello della giustizia sociale, sarebbe utile riandare a quella severa affermazione di princípi, prima di tutto comprendendola meglio e poi, se ci riesce, attualizzandola. Se è del tecnocrate ridurre la realtà a numeri, statistiche, valori matematici, difficilmente si potrebbe però credere che Padoa Schioppa intendesse di per sé sostenere, sulla base di asettici quadri interpretativi, qualsiasi forma e quantità di tassazione, tanto piuttosto l’affermare un principio etico sociale, rimandando gli Epuloni d’Italia a scuola di catechismo. Le tasse, prima ancora che una misura di coesione sociale, e oltre che stimolo parziale al ciclo della macchina produttiva capitalistica, erano per Padoa Schioppa un Dono, un’opportunità, offerta prima di tutto a chi ha, di condividere gli averi con chi non ha, o non ha abbastanza.

Oggi, Bankitalia ci informa che il 10% delle famiglie ha il 45 % delle ricchezze italiane: c’è bisogno di aggiungere altro? C’è bisogno di dire che questa misura gravemente distorta della distribuzione del benessere materiale della società costituisce, nelle sue nude cifre, indice severo di una mancanza di etica su cui si dovrebbe riflettere per ridare allo strumento delle tasse il suo Statuto di potente riequilibratore etico – sociale?

Ora, qualcuno potrebbe dire, e non senza ragioni, che le tasse alimentano, con l’ampliarsi della spesa pubblica, storture, parassitismi, costumi politico amministrativi corrotti, derivandone che solo la diminuzione delle tasse può davvero colpire la “Bestia”. Operazione questa condotta con una curiosa inversione di senso etico-religioso, laddove la “Bestia” un tempo era il numerario, mammona, il soldo insomma, e non certo la restituzione e tanto meno il Dono, che, si sa, si porge senza avere la garanzia della riconoscenza, né tantomeno di un “ritorno utile”. Certamente, Padoa Schioppa con la battuta non prendeva di mira tanti piccoli operatori economici autonomi che, come i lavoratori dipendenti, faticano a mettere insieme le risorse per il fine mese, quanto piuttosto un malcostume generalmente diffuso che afferma, ancor prima che se ne manifesti la necessità, il diritto, diremmo quasi il dovere di evadere le tasse, svilendone in primis e necessariamente il valore etico.

Berlusconi, con il suo famoso discorso di insediamento alla Guardia di Finanza, e Tremonti recentemente con l’infamia classista dello Scudo Fiscale, hanno affermato invece con parole e fatti il Valore Etico dell’evasione fiscale, togliendo per di più di mezzo quelle imposte che, mentre non arricchiscono chi beneficia dei tagli, eliminano interi pezzi delle prestazioni sociali a favore dei più svantaggiati. Qui la mente corre subito all’ICI, ridotta a Fantasma fiscale di una stagione al tempo stesso riformista e autonomista. Qui vi è la misura più plastica e concreta di cosa sia il populismo demagogico del centrodestra e ahimè l’irrilevanza culturale delle posizioni di centrosinistra.

Se vi era, nell’intero ordinamento fiscale italiano, una imposta da cui non sottrarre i più abbienti, ebbene questa era l’ICI, espressione della autonomia impositiva locale e garanzia, con la tenuta dei bilanci, della sostenibilità, a risorse date, dei servizi sociali. Nonostante questo, l’ansia patogena del sistema berlusconiano di dimostrare la vicinanza ai “bisogni” dei danarosi ha partorito l’eliminazione dell’ICI per quel 40% di proprietari di prima casa che, per motivi di censo, ancora la pagavano. Certo non obbligatoriamente: ma poteva la Moratti non cogliere l’occasione? Poteva il centrodestra ambrosiano evitare di segnare, anche in questa occasione, la distanza da quel placido ma concreto riformismo che per tanta parte del novecento ha contraddistinto l’azione e la sensibilità della borghesia democratica milanese? No, andava dato un Segno, andava chiarito che di quella stagione non deve rimanere nulla. La cancellazione dell’ICI (il 40% dell’ICI) ha materialmente sottratto alle casse comunali di Milano la stratosferica somma di 117 milioni di euro all’anno!

Se si vuole (ma si deve) attualizzare il detto di Padoa Schioppa, non si può non vedere come l’aver tolto la mano dello Stato dalla tasca dei milanesi più abbienti è stato al tempo stesso l’aver sottratto ai nostri bisogni, e ai nostri portatori di bisogni più deboli, altrettanto valore in termini di servizi. Alcuni utili, altri indispensabili, tutti graditi. Sono di questi giorni la riduzione dei fondi per i disabili decisa dalla Giunta del Comune di Milano, il ridimensionamento secco dei servizi sociali agli anziani e alle famiglie bisognose, l’abbattimento della quantità e della qualità dei servizi ATM e via discorrendo, e sempre con la stessa motivazione: non ci sono soldi. E se anche non volessimo “ascoltare” i bisogni sociali, ma anche “solo” quelli della cittadinanza tutta: il disastro dell’alluvione di novembre è ancora troppo vicina per farci dimenticare lo strettissimo nesso tra taglio dell’ICI e assenza di risorse per regimare le acque del sottosuolo milanese. E dunque: non solo pagare le tasse è bellissimo, ma letteralmente non se ne può fare a meno in una realtà sociale che vive di scambi garantiti da una efficiente rete di servizi e di beni collettivi e da questi servizi resi concretamente fruibili.

Di fronte a tutto questo, ci si dovrebbe chiedere se la posizione del centrosinistra, del debole e disorientato centrosinistra milanese, sia all’altezza della sfida dei tempi. Purtroppo non lo è, principalmente per il fatto che è ancora come trasognata, intrisa del molle ma pertinace “ma-anchismo” veltroniano, quella sorta di buonismo a costo zero, dove certo si dice a chi si deve dare (ridare) qualcosa, ma non certo a chi va tolta e come, in una visione della dialettica e (ma certo) del conflitto sociale subordinata, per questo, alla visione egemone del liberismo dei nostri tempi. La depauperazione sociale di tanta parte della vita e della popolazione milanese è stata condotta mettendo a sacco il territorio, privatizzando i valori e socializzando le perdite: l’ICI era una misura di riequilibrio parziale e inadeguata, ma era qualcosa.

Avrà allora il centro sinistra milanese il coraggio sociale e civile di marcare una nuova stagione politica issando sulle proprie bandiere il motto “Più servizi alla città, riprendiamoci l’ICI“, o sarà ancora a trastullarsi con i bei sogni dei progetti a costo zero, inerme e come inebetita sotto l’influsso del maleficio liberista, incapace di riprendere coscienza del conflitto sociale come motore del cambiamento e dell’innovazione? E saprà declinare il tema ed elaborare formule nuove con cui, anche oltre il perimetro della regolamentazione della materia fiscale, ridare ambiti di senso e di azione verso il recupero di pratiche e di istituti mutualistici che ne hanno fatto letteralmente la storia della matrice riformista ambrosiana? O intende lasciare tutto il campo al buon Cardinale Tettamanzi e al suo Fondo di Solidarietà? “Pagare le tasse è bellissimo”, così Padoa Schioppa nel 2007. Cosa ne dicono l’egualitario Pisapia, l’innovatore Boeri e l’evangelico Onida?

 

Giuseppe Ucciero



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