13 dicembre 2010

MILANO AL VOTO: CATTOLICI E SINISTRA


Chi banalizza l’esito delle primarie del centrosinistra a Milano, che hanno visto la vittoria di Giuliano Pisapia, o era distratto o tradisce la difficoltà di capire quanto sta succedendo in città e nel Paese. A livello nazionale si è evidenziata la difficoltà del PD a essere attrattivo, a Milano la polarizzazione del centrosinistra su Pisapia ha lasciato libero uno spazio-politico ed elettorale (vedi Albertini o chi per lui) – fino a poco tempo fa impensabile. Impensabile soprattutto per quanti vivono ancora nell’illusione – e ce ne sono – che i partiti decidono ‘tanto l’elettore poi si adatterà’.

L’Avvocato Giuliano Pisapia forse è il primo a riconoscere che per vincere il percorso che ha davanti richiede un supplemento di impegno. Credo che anche lui si interroghi su come passare da un’immagine di rappresentante della sinistra radicale al porsi e proporsi a tutto l’elettorato come interprete di un’area più vasta, capace di convincere, di aggregare e di vincere. In questo mi pare però non lo aiutino quanti tentano di sminuire il significato del suo percorso politico, e quanti promuovono cartelli all’insegna nostalgica di “la sinistra unita vince”. Sarebbe invece utile coinvolgere subito Stefano Boeri e Valerio Onida in un percorso progettuale convergente.

Personalmente auspico e lavoro per il cambiamento del sindaco di questa città, ma perché ciò avvenga non ci si può affidare solo alla geometria e al gioco delle probabilità: un terzo schieramento in città è auspicabile – dice qualcuno – perché porta alla tripolarizzazione, frantuma e indebolisce la Destra, di conseguenza per il centrosinistra diventerebbe possibile vincere lo spareggio del ballottaggio. Questo – se avvenisse – in buona parte sarebbe vero, ma presuppone un elettorato statico, fedele perché motivato, che ubbidisce alle indicazioni degli schieramenti, invece non è così. Occorre allora ampliare fin dall’inizio l’area del consenso su vari temi: uno per tutti, ad esempio l’Expo.

Mi permetto qui sommessamente una nota e due interrogativi, consapevole di farlo da una posizione minoritaria, di cattolico praticante impegnato in politica nel centrosinistra:

1) un conto è essere dirigenti o iscritti a un partito (a Milano 7/8.000 persone), un conto partecipare a una primaria (67.000 votanti, di cui 30.000 per Pisapia) e quindi sentirsi vincolati dal suo esito, un’altra cosa ancora è rivolgersi al corpo elettorale nel suo complesso, che vota con maggior libertà. Il mondo cattolico si iscrive poco a un partito, si affaccia alle primarie quando ha un volto significativo da votare, ma partecipa ampiamente (fino a poco tempo fa lo considerava un dovere civico!) alle elezioni istituzionali.

2) una candidatura nata all’interno della sinistra radicale e risultata vincente per il richiamo e l’affermazione di una identità (Sinistra e Libertà, Vendola, Rifondazione, Centri sociali…) riuscirà a riformularsi per proporsi in termini più articolati, flessibili, pluralisti? Se occorre recuperare al voto di centrosinistra, oltre agli indecisi, la parte di cattolici disillusi da Berlusconi, difficilmente questo avverrà con una proposta di sinistra-sinistra tendenzialmente ideologizzata (ma sento anche la difficoltà di ex DS poco disposti ‘non’ a votare Pisapia, ma a fare campagna accanto ai compagni che hanno fatto cadere Prodi…).

3) dal punto di vista politico, è utile allora che tematiche importanti, proprio perché eticamente sensibili, e quindi di competenza del Parlamento, diventino priorità del programma amministrativo, ben sapendo oltretutto che evocarle avrà solo valore politico ma nessun effetto giuridico? Mi soffermo su quest’ultimo interrogativo perché molti dell’area culturale a cui appartengo vogliono capire se nel centrosinistra rimarrà lo spazio per un pluralismo riguardante il senso della vita e della morte e dei rapporti interpersonali, o se si vuole far coincidere il bipolarismo partitico con un dualismo etico. Vorrei che non fosse così. In altre parole: porre ad esempio il registro delle coppie di fatto come priorità simbolica del programma di Pisapia diventa, più che l’affermazione di un tema che esiste, una sfida a una parte dei potenziali elettori.

Eppure a Milano vi è un cattolicesimo (che non coincide con centrista o moderato) che conosce l’ubbidienza sull’essenziale della fede ed ha imparato la responsabilità di cercare soluzioni per il contingente, cattolici che liberatisi da un deduttivismo ecclesiastico non intendono sottoporsi a una gerarchia laica, tanto più se essa fa affermazioni ma non sempre dà motivazioni. Un cattolicesimo più programmatico che identitario ma che, se viene sfidato, non può prescindere da un’antropologia che gli appartiene.

Milano – dove il cattolicesimo democratico è sì in crisi per il silenzio di intellettuali e per il rischio del declino della cultura cattolica (vedi De Rita sul Corriere della Sera del 5 dicembre 2010, www.corrieredellasera.it) – ha una tradizione di Vescovi (Martini e Tettamanzi) che rivendicano l’indipendenza dai partiti, affermano che ‘i diritti dei deboli non sono diritti deboli’, e che danno importanza alla politica attenta al ‘bene comune’ (discorsi alla città, per S. Ambrogio 2010 vedi www.chiesadimilano.it). C’è un’area che vuole mettersi alla prova e misurare la propria appartenenza ecclesiale con la responsabilità politica. Tacere sul rapporto fra e politica e religione/i diventa una scelta miope, tanto più nella prospettiva del pluralismo culturale e religioso che ormai ci appartiene.

Questo fatto non dovrebbe essere sottovalutato dalla politica in un contesto di crisi di settori dell’area cattolica nei confronti della Destra. A quanti avanzano l’obiezione “al confronto con Pisapia attento agli aspetti sociali, come faranno i cattolici a votare la Moratti o un altro Albertini?”, suggerirei di sforzarsi di capire la complessità dell’elettorato. Questo per evitare l’ulteriore incremento del partito dell’astensione (in casa centrosinistra), ma anche l’ambiguità del rifugio dell’elettore incerto nel possibile voto disgiunto, di chi cioè sceglie il candidato sindaco di uno schieramento e insieme vota per una lista o un candidato consigliere di un altro schieramento. Se poi vi saranno anche le politiche il voto amministrativo assumerà un altro significato (sminuito). E’ utile parlarne, prima delle elezioni non dopo. Sì perché l’elettore va persuaso e non precettato. Per vincere non basta infatti un pur legittimo desiderio.

Paolo Danuvola



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