3 dicembre 2010

CACCIARI E BRAMBILLA


La pervicacia con la quale il prof. Cacciari propugna le sue tesi sulla corsa a Sindaco di Milano mi ricorda lo stravagante atteggiamento del prof. Brambilla, professore di Statistica in Bocconi qualche decennio fa. Il Brambilla usava apostrofare gli studenti che gli consegnavano i test di fine corso per essere ammessi all’esame dicendo: “Mi sono già fatto un’idea di voi, non disturbatemi con i dati”. Brambilla era un genio, essendo colui che portò in Italia la scienza statistica, ma si riteneva e si comportava come tale nella sua materia, non pretendeva di applicare le sue intuizioni a qualcosa di cui ignorava i dettagli come la politica cittadina, al contrario di quanto fa il prof. Cacciari, che è egualmente un genio e non conosce allo stesso modo i dettagli di altro che non sia la propria materia, che è la filosofia e non la politica.

Non si spiegherebbe altrimenti la tigna con la quale, affiancato da qualche assistente di giornata come Sergio Scalpelli e Rutelli, ignorando qualsiasi analisi sul voto delle primarie rimette su il disco “Pisapia rifondarolo” e insiste sull’inevitabilità per i “riformisti” del Pd e no di convergere sulla candidatura di Albertini senza prendere in considerazione dati che disturbano il disegnino tracciato sulla carta dell’Università San Raffaele.

Per la autonominata “commissione d’esame politico Cacciari” le elezioni primarie con il voto di circa settantamila persone sono un fatto irrilevante, perché hanno votato i “militanti”: a parte il fatto che a Milano così tanti “militanti” non si vedono da decenni, che Pisapia abbia prevalso con oltre trentamila voti, il doppio in valore assoluto di quelli ottenuti alle elezioni regionali da SeL a Milano città, non rileva per togliergli l’etichetta di candidato che parla solo ai suoi; né pare avere qualche rilievo il fatto che (fonte Swg) alle primarie abbiano partecipato votando per la prima volta almeno ventimila persone, quasi tutte per Pisapia, oppure il dato che più del 90% dei circa diecimila votanti di storia laico socialista abbiano scelto lo stesso Pisapia soprattutto in ragione della sua storia milanese di sinistra e garantista.

Ancor meno fortuna e considerazione presso la Commissione Cacciari ha avuto il sondaggio che dà Letizia Moratti al 44%, Pisapia al 41 %, il candidato del futurista “Terzo polo” Achille Serra al 9, 5 % e un innominato “grillino” al 5% (ma i radicali non erano con Pisapia ?), con un ballottaggio Pisapia-Moratti oggi inchiodato su un 50-50. Se consideriamo che con Albertini candidato del Terzo Polo lo stesso si ferma al 13,5 % mentre la Moratti scende al 40% e Pisapia passa in testa al primo turno restando al 41% (ohibò, i riformisti non “capiscono” ?) ci si dovrebbe aspettare che il carnevale delle proposte fantasiose di assunzione dell’ “amministratore di condominio” come candidato del centrosinistra ovvero le petulanti e indimostrate, perchè indimostrabili, asserzioni sul fatto che “Pisapia buon candidato, ma non può vincere” dovrebbero cessare di colpo (infatti Albertini, da uomo pratico qual è, ha smesso di dirsi disponibile alla candidatura) per concentrarsi su temi e politica della campagna. Temiamo però che il vizio di quelli che sanno sempre tutto “prima” e comunque “dopo” hanno sempre ragione lo stesso, come alcuni nostri amici, impedisca ancora una serena discussione e conduca, prima o poi, ad affermare che l’unico modo che si ha per essere sicuri di vincere è votare per Letizia.

Giuliano Pisapia ha dimostrato fino ad ora di saper partire da una storia di sinistra né ostentata né occultata per arrivare a una proposta civica, molto “milanese” e, come egli stesso ha più volte dichiarato, in continuità con le amministrazioni di sinistra del secolo scorso, da Caldara a Greppi per giungere fino a quelle di Aniasi e Tognoli, conducendo una campagna elettorale per le primarie che lo ha portato a superare sia le invecchiate, indistinte e perdenti istanze “nuoviste” sia il reducismo riformista e radicale di sinistra. Pisapia si è posto come il candidato che ascolta e non fa finta di ascoltare e poi decide senza la paura di cambiare idea o di contraddire i suoi sostenitori della prima ora, quando lo ritenga necessario. Per chi non vuole più vivere politicamente leggendo l'”almanacco del giorno dopo”, c’è finalmente l’occasione di combattere una battaglia politica che può essere vinta o persa, ma che vale la pena di essere combattuta: non è poco, oggi, a Milano.

Franco D’Alfonso



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