3 dicembre 2010

TAGLI E TARIFFE


Sembra ormai certo che vi saranno pesanti tagli ai trasferimenti alle regioni, in particolare per i trasporti pubblici, ma non è chiaro se siano tagli “mirati” a ciascun settore o in solido. Se tagli devono essere, speriamo almeno che siano “in solido”, in modo da avviare un confronto interno alle Regioni sulle priorità sociali della spesa, confronto che l’automatismo dei trasferimenti ha finora evitato. Regioni diverse, infatti, potrebbero esprimere legittimamente priorità diverse. Ma si tratta davvero di una tragedia sociale? Non necessariamente e vediamo il perché. I tagli riguardano i sussidi al trasporto locale, cioè quelle risorse che coprono la differenza tra i costi per produrre i servizi e i ricavi dalla vendita dei biglietti.

Incominciamo a vedere come sono i costi di produzione. Questi non solo sono alti rispetto al resto d’Europa, ma lo sono per esplicita volontà politica di non abbassarli: come si può altrimenti definire l’ostinata volontà di non fare gare per l’affidamento alle imprese che chiedono meno sussidi o, quando la legge non ha più consentito rimandi e scappatoie, fare gare totalmente truffaldine? Se qualcuno avesse dei dubbi, consideri questi fatti: a) i giudici delle gare (i comuni), possono essere anche concorrenti con le proprie imprese; b) delle circa 100 gare fatte, quasi tutte le hanno vinte gli “incumbent”, cioè le imprese comunali che c’erano già o ATI (Associazioni Temporanee d’Impresa) e aziende da loro derivate attraverso acquisizioni e cambi di nome. Il caso dell’ATM di Milano è esemplare. Il bando di pre-qualifica è stato scritto dal comune in modo tale che negli anni si è presentato un solo candidato: l’ATM, di proprietà del comune di Milano. Neppure la decenza di salvare la forma.

L’esperienza e la letteratura internazionale dicono che i risparmi ottenibili con le gare, naturalmente non istantaneamente come una manovra di emergenza richiede, potrebbero variare dal 20 (Francia) al 40 per cento (Inghilterra). Ma nel trasporto locale ferroviario si è fatto ancora di più: il governo “liberale” attuale ha concesso alle regioni di non fare le gare, e di queste ben 17 su 18 hanno immediatamente deciso di non farle, ovviamente senza fornire spiegazioni. La Lombardia per completare l’opera ha anche deciso di eliminare quel minimo di concorrenza per confronto che c’era, fondendo i servizi locali di Trenitalia e delle Ferrovie Nord, di sua proprietà, in un’unica società, con per di più un aumento dei costi previsti (con buona pace delle “economie di scala” che potrebbero forse giustificare una fusione). Ma molte altre regioni si sono mosse nella medesima direzione, creando società regionali impermeabili alla competizione (ma certo non al sottogoverno). La spiegazione ovvia di questi peculiari comportamenti degli enti locali, che abbiamo sopra descritto, è la certezza del ripiano dei disavanzi, cioè di non poter fallire, sempre ovviamente avanzando ragioni “sociali” per mascherare ogni sorta di inefficienze.

Non dissimile è il quadro sul versante dei ricavi, cioè delle tariffe: a costi molto elevati infatti si associano tariffe che coprono una frazione molto bassa dei costi, intorno al 30-35 per cento (generalmente in Europa il grado di copertura è assai più alto). Fornire un servizio sociale a tariffe basse è una scelta tutta politica e in sé perfettamente legittima. Fa specie però che anche questa scelta contribuisca a massimizzare la necessità di sussidi, in presenza della certezza del ripiano “a piè di lista”. Ma forse è un caso, chissà. Si sostiene che tutto ciò garantirebbe la qualità dei servizi erogati, ma sembrerebbe una affermazione ardita a sentire gli utenti, che più volte hanno dichiarato di essere pronti a pagare di più per servizi migliori degli attuali. Socialmente poi, tra un servizio più caro e l’assenza del servizio corre una differenza notevole. Quindi parlare con la mano sul cuore di intollerabili tagli ai servizi che si renderebbero necessari (alfiere di questo atteggiamento è il presidente lombardo Formigoni), suona davvero molto “coccodrillesco”.

Che fare piuttosto? Innanzitutto agire su quei costi che sono riducibili in tempi brevi. Vi sono linee ferroviarie pochissimo usate, che sono perfettamente sostituibili con servizi di autobus ecologici. Spesso queste soluzioni sono addirittura più comode per gli utenti, che vedono ridursi la necessità di cambiar mezzo. Da non dimenticare che i servizi ferroviari molto utilizzati dai pendolari coprono già i loro costi o buona parte di essi: i tagli interesserebbero quindi linee scarsamente utilizzate. Trattandosi di emergenza, per le principali basterebbe solo ridurre le corse meno utilizzate a metà giornata, anche se questo colpisce il concetto di orario cadenzato lungo tutta la giornata che alcune Regioni stanno portando avanti in un’ottica di riassetto territoriale. Naturalmente il taglio non deve necessariamente essere eterno.

Per quanto concerne i ricavi, limitarsi da subito a sussidiare gli utenti a basso reddito con abbonamenti scontati o più in generale introdurre forme di discriminazione tariffaria più spinta. Perché per esempio sussidiare gli studenti ricchi? Poiché tuttavia, come si è detto, la politica tariffaria deve essere correttamente frutto di scelte democratiche condivise, si potrebbero valutare anche strategie diverse, che non discriminino in base al reddito, ma in base ai costi che i diversi utenti generano alla collettività. Ciò sarebbe ottenibile valutando il grado di copertura dei costi dei diversi servizi e delle diverse linee, alzando le tariffe in modo che ogni utente contribuisca in modo percentualmente egualitario ai costi di produzione.

Ovviamente si possono anche sovrapporre tali criteri o metterne a punto diversi. Ma certo finalmente si discuterebbe in modo trasparente della socialità dei servizi di trasporto: alcuni paesi per esempio (Regno Unito, USA, Brasile) ritengono che rispetto ad altri servizi quello di trasporto abbia contenuti sociali scarsamente rilevanti. Ma da subito occorre mettere in moto gare serie, in cui non solo il giudice non possa essere anche concorrente, ma i cui bandi siano tali da massimizzare la concorrenza, con lotti più piccoli possibile (il contrario di quanto si fa oggi). Privatizzare aziende pubbliche in un contesto privo di reali contenuti concorrenziali, come è stato proposto, sarebbe il peggiore dei mali: il monopolio privato tende a comportarsi peggio di quello pubblico, che almeno deve sottostare a qualche pressione di ordine sociale.

Marco Ponti



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