9 novembre 2010

BANDA LARGHISSIMA, ANZI LARGA, CIOÈ STRETTA


Cercherò di spiegare perché la banda larghissima (quella sopra i 20 Mbit/sec, per intenderci) serve e perché, ciononostante, questo investimento non viene fatto. Intanto gli altri paesi avanzati hanno quasi tutti un piano per la banda larghissima, che in gergo si chiama NGN (o rete di prossima generazione) ed è in fibra ottica anziché in rame. Chissà perché lo fanno? Una ragione ci sarà per cui non solo Corea e Giappone, ma anche Usa, Francia, Olanda, UK e paesi nordici stanno approntando una rete da 100 Mbit/s (mentre noi non siamo ancora riusciti a mettere in opera il piano Romani, un piano per dare al 5% di italiani che non dispongono neppure dell’ADSL, la cosiddetta banda larga in rame da 640 kbit/s fino a 5/6 Mbit/s).

La ragione sta nel fatto che: La rete in rame è già congestionata e fra tre/quattro anni non reggerà più; La stessa rete in rame non regge sopra ai 15/20 Mbit/s perché manifesta fenomeni di diafonia, cioè di interferenza fra i doppini di rame; Le imprese produttrici di apparati di telecomunicazione sono in crisi per la cronica riduzione degli investimenti da parte degli operatori; I consumi vanno verso velocità sempre maggiori, perché gli utenti si scambiano sempre più video in movimento: non siamo più alla voce e ai dati (come la posta elettronica), per i quali basta il rame e l’ADSL. Del resto gli stessi dati sono diventati molto ingombranti. Mio nipote Filippo, qui a fianco a me, sta scaricando l’aggiornamento Snow Leopard del Mac, che è di 4,39 Gbyte, che sono circa 35.000 Mbit: giorni di lavoro per le vecchie reti in rame!

Ma qui scatta l’obiezione dei reazionari della rete: dobbiamo forse investire così tanti soldi solo per consentire ai nostri ragazzi di scaricare (illegalmente) dei film dalla rete, in peer to peer, da fraudolenti fornitori? Attenzione: l’obiezione è spesso usata anche dal top management dell’operatore dominante, Telecom Italia, che ripete spesso che la domanda non c’è e gli investimenti si faranno a tempo debito. Quando sento questa osservazione mi chiedo come avranno ragionato all’ inizio del secolo scorso le società telefoniche che installarono la prima rete telefonica capillare quando la domanda di telefono a domicilio riguardava poche diecine di famiglie benestanti.

Ma non è neppure questo il punto: la domanda c’è già e viene in primo luogo dalle imprese, dalle banche, dalle attività professionali. In tutto il mondo sviluppato l’informazione è video, la conferenza fra i manager è video, la formazione del personale è video, la pubblicità è video, i cataloghi dei prodotti e servizi sono video. Senza la rete NGN resteremo la retroguardia europea e mondiale (che già siamo), mentre nessuno ci rimprovererà se non avremo fatto il ponte sullo Stretto. Di stretto, per ora, abbiamo solo la banda. Vogliamo mettere queste imprese in condizione di competere coi loro concorrenti esteri o chiediamo ad Armani di mandare ai suoi clienti delle foto invece che delle sfilate?

Ma se tutto questo è vero perché la rete NGN non si fa? La risposta viene da lontano. Il nostro è un paese televisivo e non telecomunicativo e non per colpa del solo Berlusconi. Il partito RAI ha ostacolato la TV via cavo fin dalla legge Mammì, perché temeva che sul cavo si sarebbe affacciato un altro concorrente. Avremmo avuto, col cavo, un’infrastruttura alternativa che potevamo usare anche per telecomunicazioni, come hanno fatto UK e USA. Invece, privatizzando Telecom Italia a nessuno venne in mente di mantenere in mano diversa la rete, come è stato fatto nella privatizzazione di Enel creando le premesse per la nascita di Terna, la società della rete di trasmissione elettrica. Tutti si illudevano che la tecnologia avrebbe facilitato la concorrenza abbassando le barriere di ingresso. Ma questo è stato vero solo per un po’. Adesso per fare la rete NGN servono dai 7 ai 20 miliardi di euro (secondo la diffusione) e la rete in fibra torna a essere un monopolio naturale, cioè un’attività in cui un solo operatore è più efficiente di due o più operatori.

Se Telecom non investe a sufficienza, indebitata com’è per colpa dei vari Colaninno e Tronchetti Provera, che fare? Si fanno strada soluzioni locali, come quella annunciata da Formigoni in Lombardia, dove già si annuncia l’intenzione di investire della cinese Huawei, che forse riesce a vedere più lontano dei nostri imprenditori, mentre la lombarda Italtel langue per mancanza di ordini. Adesso allo Sviluppo (Industria) abbiamo un altro televisivo, Romani, che non farà molto per assegnare frequenze ex-televisive (liberate dal digitale terrestre) alla telefonia. Eppure ce ne sarebbe bisogno, visto che la telefonia mobile ha sopperito in parte alla mancanza di banda di quella fissa, ma adesso boccheggia anch’essa. Nel frattempo non potremmo mettere a Milano tanti hot point WiFi gratuiti, visto che abbiamo sprecato l’opportunità di utilizzare la rete Metroweb per dare banda larghissima a tutti i milanesi? Ma questo è un altro capitolo che esamineremo una prossima volta.

 

Franco Morganti

 



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