2 novembre 2010

PRIMARIE: MANIPOLAZIONI E SEDICENNI


Ahi! Ahi! Ahi! Le primarie. Quanti problemi si portano dietro, come sempre avviene quando si copia, magari con una certa superficialità pratiche sociali di altri paesi dove sono radicate in consuetudini non sempre riconducibili a logiche razionali. Intendiamoci: dico subito che le primarie generalmente intese come un sistema in cui gli elettori, affiliati o meno a un partito, lo vedremo, scelgono i candidati che questo partito presenterà in una successiva competizione elettorale, sono una pratica da favorire. Soprattutto in un sistema come il nostro ingessato da oligarchie di partito incrostate come i barnacles che appesantivano le chiglie delle navi russe a Tsushima.

Ma non dobbiamo affidarci alle primarie come fossero la bacchetta magica soprattutto quando sono usate per legittimare scelte già fatte dai partiti. Infatti le primarie sono una tradizione dei sistemi elettorali vigenti negli Stati della federazione degli Stati Uniti d’America e come molte pratiche americane sono profondamente radicate in tradizioni che sono esattamente il contrario di quella semplicità che gli si attribuisce. Le primarie variano da stato a stato e anche da un tipo di elezione all’altro e si distinguono in due grandi famiglie, quelle chiuse, in cui votano per scegliere il candidato solo gli elettori preventivamente già iscritti (“registrati”) a un certo partito e “aperte” in cui possono votare tutti, con vari fenomeni di manipolazione. In più ci sono sistemi misti e particolari che non sto a descrivere ma che sono ben spiegati in http://en.wikipedia.org/wiki/Primary_election un Wiki fatto mi pare piuttosto bene.

Come è noto, negli Stati Uniti i partiti non sono organizzazioni massicce come quelli europei tradizionali e sono piuttosto comitati, club, associazioni o caucuses (termine anch’esso alquanto generico e polisemico che però sottolinea la maggiore temporaneità di tutte queste strutture). Detto questo non si creda che tali caratteristiche garantiscano l’assenza di oligarchie di partito: questa è una favoletta per i babbei e da tempo non è più così. Infatti una delle ragioni della scarsa partecipazione al voto (turnout) tipica del sistema politico americano deriva proprio dai “registration boards” dei partiti che sono organizzazioni private di base (grass roots) che in entrambi i partiti congiurano più per tenere fuori i nuovi elettori che per conquistare nuovi voti: registrarsi comporta la redazione di complicati moduli presso Boards che molte volte fanno a gara per non farsi reperire.

Tentativi di “registrare” nuovi elettori tra gli immigrati, per esempio utilizzando i servizi sociali, l’ultimo dei quali è stato fatto da Frances Fox Pivens, non hanno ottenuto risultati clamorosi. L’altra pratica abbondantemente diffusa negli ultimi anni che rende il sistema americano più rigido di quel che normalmente si pensa è il “redistricting” cioè la manipolazione dei distretti elettorali (fa parte del Gerrymandering) in modo da favorire grandemente l’incumbent, cioè il candidato uscente. Ciò detto le primarie americane sono sempre occasione per feroci competizioni e in questo senso sono dei buoni sistemi per selezionare candidati agguerriti, perché in politica anche il controllo sulle manipolazioni ha la sua parte. Ma non sono state un buon sistema per ampliare l’elettorato, anche se poi, a volta a volta il sistema americano è di gran lunga più mobile di quello italiano.

Le primarie sono state adottate da vari altri sistemi nazionali dal Cile, alla Corea del Sud all’Armenia e di recente anche dall’Italia e in particolare dal PD che se n’è fatto gran vanto, anche se nella versione italiana si è piuttosto pensato alle primarie come un mezzo per mobilitare l’elettorato che uno strumento per selezionare il candidato più agguerrito. La mobilitazione ha certamente funzionato nel caso di Prodi, anche se si trattava in realtà di un candidato unico, ma poi gli elettori si sono abbastanza stancati di concorrere a sostenere le scelte degli apparati.

Le cose sono parzialmente cambiate con le elezioni per il Sindaco di Milano in occasione delle quali si sono presentati quattro candidati, uno solo dei quali decisamente targato da un partito, il PD. E’ davvero la prima volta: sono quattro candidati buoni e rimane ancora inspiegabile la contraddizione di un partito di sinistra che appoggia un candidato pretendendo che sia quello più capace di “prendere i voti della borghesia” (quale che sia il significato del termine e che poi targandolo PD gli appioppa il peggior biglietto da visita che si potrebbe immaginare per questo elettorato). Ma l’ambiguità tutta italiana per le funzioni delle primarie, selezione delle élites e richiamo per nuovi elettori” ha prodotto una curiosa anomalia.

Alle primarie votano i 16/17enni, che però non voteranno alle elezioni effettive. Si crea così una situazione di dislocazione del campione. Quello delle primarie non rappresenta la popolazione che voterà: ci sarà qualche danno? Si, se si perde di vista questa discrasia. Ai tempi della “gioiosa macchina da guerra” si sventolavano i risultati delle precedenti amministrative, ma io che per mestiere mi occupo di città ero preoccupato perché quel voto era in larga parte di grandi città del nord che non sono mai un buon campione e allora erano a favore della sinistra: mi ricordo bene perché avevo notato anche che gli unici due che avevano espresso dubbi erano Michele Salvati e Gad Lerner. E poi si è visto. L’ampliare ai giovani è basato sull’assunto erroneo che i giovani siano di sinistra o che partecipino più degli adulti, non sono vere ne l’una ne l’altra cosa, ma l’idea rimane. Comunque benissimo che i giovani partecipino e siano invogliati a farlo. Attenti però alla rappresentatività del campione.

 

Guido Martinotti

 



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