2 novembre 2010

NOÈ SBARCA SUL MONTE ARARAT, COSA RACCONTO AI MIEI FIGLI?*


L’oncologo Veronesi ha dichiarato tempo fa che per lui la scienza e la religione non sono destinate a trovare un punto di incontro, poiché la religione parte da certezze, mentre la scienza cerca l’incertezza. Anche il dissenso da parte del Vaticano, circa l’assegnazione del premio Nobel 2010 per la Fisiologia e la Medicina a Edwards, pioniere della fecondazione in vitro, confermano la discrepanza tra le due. Fin qui niente di nuovo, fin dai tempi di Galileo le due discipline sono in contrasto, è una questione di etica che il mondo della scienza e quello della chiesa dovranno disputare. Ma nel nostro piccolo, come affrontiamo la dicotomia tra la teoria dell’evoluzione della specie e la storia della Genesi appresa dai nostri figli al catechismo?

Conosciamo la Genesi, il primo libro della Bibbia che racconta come Noè portò sull’Arca i figli, la moglie, e una coppia di tutti gli animali del creato, e attese la fine del diluvio universale, per trovarsi arenato su un monte, il monte Ararat. E’ una storia che piace, ripresa in diverse canzoni e persino in un favoloso cartone Disney. A mio avviso un racconto biblico non ha bisogno di conferme scientifiche, ma a quanto pare ci sono scienziati che vogliono chiudere il varco tra scienza e religione: infatti nell’aprile 2010 un gruppo di scienziati cinesi e turchi ha dichiarato di aver trovato sul monte Ararat, vicino al confine con l’Iran, un relitto di barca in che risale ai tempi biblici.

Il libro di Westerman parla proprio di questo, esploratori che da secoli cercano di comprovare con certezza scientifica il racconto della Bibbia. E l’autore diventa uno di loro.

Nel libro Ararat, edito da Iperborea, casa editrice specializzata nella letteratura del Nord Europa, l’io narrante viene catturato da questa montagna, così come alcuni vengono contagiati dalla febbre calcistica. Con precisione scientifica questa voce indaga per scoprire tutti gli aspetti del monte: la sua storia, la geofisica, i primi esploratori e i suoi abitanti.

Nella situazione geopolitica attuale, il monte Ararat, alto 5.165 m, si colloca al confine tra Turchia e Armenia, infatti in lingua armena Ararat significa ‘creazione di Dio’. E’ un luogo di confini: nell’epoca della guerra fredda si trovava tra Occidente e Oriente, e si potrebbe definirlo demarcazione tra cristianesimo e islam.

Attorno alla storia della montagna e dei suoi esploratori, Westerman costruisce un racconto travolgente e intimo, in cui l’io narrante, cresciuto in un ambiente religioso protestante, e appassionato di scienze, in una fase della gioventù perde la fede in Dio, convinto che Darwin e Galileo non potessero aver torto. Quando però si trova a occuparsi dell’educazione della figlia, si chiede: ma che cosa le racconto adesso? Non vuole darle il peso della sua incapacità di credere in Dio e quindi lascia a casa, ad Amsterdam, sua figlia e sua moglie per intraprendere un lungo viaggio verso il monte Ararat, che secondo antiche leggende, essendo un territorio sacro, non può essere scalato. Il suo editore lo minaccia di non pubblicare neanche una sillaba, se dovesse diventare uno scrittore religioso. Ma lui non si lascia intimidire e parte alla scoperta del suo monte.

Giunto in Turchia, l’io narrante si aggrega a una spedizione che parte alla volta della vetta, e scala il monte in circostanze che ci ricordano le spedizioni di Amundsen. Strada facendo, ed è proprio questo il punto di forza della tecnica di narrazione di Westerman, che ci intrattiene sul suo percorso intellettivo, personale e non, appassionandoci con le storie di ex-professori, o di un esploratore dell’Ottocento, Parrot, giunto sulla cima, ma mai creduto dai suoi compaesani. Ritroviamo tra queste pagine anche i libri di Orhan Pamuk, nella descrizione della città di Kars, ai piedi dell’Ararat, ma non solo: leggiamo di argomenti più svariati, come la deriva dei continenti e la trivellazione, ovvero la ricerca di olio e di gas nella campagna olandese negli anni Sessanta. Il risultato è un libro di avventure pieno di spunti di riflessione per il lettore.

L’autore olandese, Frank Westerman, che in patria ha scalato le classifiche delle vendite con El Negro e io (anch’esso edito in Italia a Iperborea), nella sua ‘fiction’ mischia fatti personali con fatti scientifici e ricerche storiche per venire a capo del diverbio tra religione e scienza. Questo suo stile è una combinazione molto riuscita, che trascina il lettore attraverso secoli di avvenimenti, ponendo i quesiti di tutti tempi.

Brava Claudia Cozzi a tradurre lo stile meticoloso dello scrittore, che attraverso la sua peculiare narrazione tende a enfatizzare l’importanza dei singoli avvenimenti nella vita, e che nel contempo è propenso a raccontare le storie di tutti personaggi coinvolti, compresa la sua. Ed è da quest’ultima storia che il libro parte: nel prologo ci emozioniamo alla storia di un bambino olandese che cresce negli anni Settanta in Olanda, sicuramente la parte più autobiografica del libro. Il ragazzo undicenne, come tutti i giovani olandesi della sua età, ama costruire dighe nei fiumi, per gioco. E’ come se da giovani dovessero prepararsi a salvare dalle tempeste e le maree, una volta adulti, la loro nazione confinata da dighe. In vacanza in Austria, sul fiume Ill, il ragazzo costruisce la sua diga insieme ad altri coetanei, ignorando che più in alto hanno aperto le chiuse, il che causerà una piena improvvisa. Seduto in riva al fiume, contemplando lo sbarramento di sassi nell’acqua, pensa alla gioia che proverà quando mamma e papà vedranno il capolavoro idrico, costruito con tanta fatica.

Sapevo già come sarebbe andata: la mamma non avrebbe osato attraversare sulle pietre malferme della diga, ma papà per fortuna sì. Ero rimasto lì un po’ immerso nei miei pensieri, lasciando le dita giocare con la corrente (…)

Quando si incominciò a sentire da lontano il boato, come di un aereo che si avvicina, stavamo sistemando il telo verde pallido di una tenda militare. Io avevo il compito di reggere uno dei paletti telescopici della tenda. Il rumore si faceva sempre più forte e alzammo tutti la testa per guardare il cielo sopra le cime degli alberi. Con gli occhi in su, non feci in tempo a vedere arrivare la marea che mi trovai i piedi in acqua. (…) A monte si precipitava su di noi per tutta l’ampiezza del fiume una muraglia ruggente di schiuma. Non era né una massa rotolante né una parete verticale increspata, ma un’onda stratificata che si frangeva con furia selvaggia. (…) Mentre saltavo in acqua insieme agli altri, il petto proteso in avanti come un atleta che taglia il traguardo, vidi la diga spazzata via dalla corrente. (…) Gli altri raggiunsero la riva, feci in tempo a vederlo, ma io venni afferrato per la vita e trascinato sott’acqua.

Se questa dapprima sembra una captatio benevolentiae, un inizio alla James Bond per catturare l’attenzione del lettore, più avanti dobbiamo riconoscere l’abilità narrativa dello scrittore a inserire tale avvenimento all’inizio del libro. Essere trascinato via dall’acqua per volontà dagli avvenimenti è proprio il punto di partenza del libro, siamo in balia al caso o c’è una mano divina che ci regge?

 

Michel Dingenouts

*Frank Westerman, Ararat, Iperborea, Milano, 2010, pag. 313, traduzione Claudia Cozzi

 

 

Link

Ricerca dell’Arca: http://www.repubblica.it/www1/cultura_scienze/arca/alleanza/alleanza.html

Ritrovamento Arca di Noè: http://www.blitzquotidiano.it/societa/turchia-mistero-ritrovamento-arca-noe-resti-4000-metri-monte-ararat-351254/

Frank Westerman: http://www.iperborea.com/web/autori/westerman.htm

Veronesi: http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/10_febbraio_04/veronesi-religione ricerca_0dbc44c2-11a1-11df-806e-00144f02aabe.shtml

Nobel a Edwards: http://www.repubblica.it/salute/medicina/2010/10/04/news/nobel_per_la_medicina_a_edwards_padre_della_fecondazione_in_vitro-7697488/



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