20 ottobre 2010

LETTERA da UN PIANISTA


Ill.mo Ing. Paolo Viola,

Le scrivo riguardo al Suo articolo sul concerto che ho tenuto al teatro Dal Verme il 1° ottobre scorso e apparso sul settimanale l’Arcipelago. La ringrazio innanzitutto per la Sua decisione di partecipare al concerto, unitamente alle oltre 1000 persone che affollavano il Teatro. Ho sentito poi dire che raramente si era visto il Teatro così pieno per un evento di musica classica e già questo può testimoniare che la serata ha avuto una vasta eco. Lei avrà letto nel libretto di sala il mio ringraziamento al pubblico di Serate Musicali, che dopo la Maratona di quattro concerti del Maggio 2008 mi ha scritto parole bellissime invitandomi a proporre nuove “imprese”.

A parte il commento di Benzing sul “Corriere della sera” che Lei ha correttamente riportato, è stato dunque il grande apprezzamento del pubblico che mi ha spinto a presentare questa nuova “Maratona”; per me il pubblico rimane il punto di riferimento più importante con cui ho quell’interscambio di energia che mi consente di portare a conclusione imprese come queste, cui oggi, in verità, è difficile assistere.
Mi perdoni se chiamo in causa Tito Livio e Senofonte ma ne condivido appieno la formazione critica. Mi piace come loro riferire i dati oggettivi: rispetto alla Maratona di due anni fa (che era finita quasi a mezzanotte) venerdì scorso il pubblico era ancora più numeroso. A questo punto però devo fare qualche piccola precisazione riguardo il Suo articolo: se il pubblico si fosse “perso”, causa la “noia” che Lei ha subitaneamente evocato sarebbe andato via al massimo dopo il secondo concerto (Ciaikowsky), quando cioè ormai era passata oltre un’ora. Tito Livio (non Lei…) avrebbe poi riferito che alla fine del primo tempo del concerto di Ciaikowsky il pubblico si era già lasciato andare all’applauso, nel solco di una TRADIZIONE d’ascolto (che non so se conosce) che vuole l’applauso scatenarsi in quel punto in caso di particolare gradimento. Un pubblico annoiato, caro ingegnere, NON APPLAUDE ALLA FINE DEL PRIMO TEMPO DI UN CONCERTO PER PIANO E ORCHESTRA, SE LO RICORDI!

Ma non è finita qui.. Dopo l’intervallo seguito a Ciaikowsky TUTTA la sala è rimasta lì per sentire il Concerto di Schumann cui ha seguito il Concerto n.2 di Liszt. E’ poi assolutamente fisiologico, dato che eravamo già oltre la mezzanotte e il concerto era iniziato alle 20.30, che alcuni causa mezzi pubblici, come la metro che stava per chiudere, motivi di rientro in famiglia o semplice stanchezza (nessuno credo fosse abituato a simili maratone d’ascolto) possano aver anzitempo lasciato la sala. Ma il vero commento della serata è costituito dagli applausi presenti nel cd live (che se vuole avrò il piacere di recapitarLe in tempi brevi o che potrà ascoltare nel mio sito), che non cambiano d’intensità ma vanno in crescendo ad ogni concerto.

Caro Ingegnere, verba volant sed facta manent. Non a caso ho voluto lasciare una traccia audio (ed esiste anche un video di cui un amico “stakanovista” mi ha omaggiato e di cui presto potrà prendere visione nel mio sito). Le testimonianze dal vivo sono infatti l’unica certezza da “opporre” a chi come Lei dà una versione assolutamente non corrispondente al vero, arrogandosi il diritto di farsi “interprete” della sensibilità popolare. Mi sembra che voglia per forza mostrare di possedere il segreto della pietra filosofale! Ma forse Le è sfuggito che a fine concerto sono stato circondato da un gran numero di persone che chiedevano autografi e mi stringevano la mano. Tito Livio avrebbe riportato certamente tale inoppugnabile verità, non crede?

Erano tra l’altro appassionati che non avevano assolutamente equivocato come Lei il fatto che tra un tempo e l’altro avessi “trangugiato” del tè e della cioccolata. Due osservazioni: non credo di aver mostrato di essere un convitato della cena di Trimalchione dagli atteggiamenti così scomposti da giustificare l’uso del verbo “trangugiare”. Chi ha letto l’articolo non potrebbe mai immaginare che data tale “vulgaritas” potessero dalle mie mani uscir fuori dei suoni minimamente “educati”. Per fortuna penso fermamente che la migliore qualità delle mie esecuzioni risieda proprio nel suono (e non nella “tecnica”, ma ne parleremo dopo); questo però lo lasceremo giudicare a chi ascolterà il cd live recording della serata.

Eppoi se vicino al pianoforte c’era del tè e della cioccolata non era certo per dare spettacolo. Chi presenta 5 concerti in una sera non credo sprechi energie per pianificare una stupida esibizione di fatica (non siamo in un reality show!) ma penso abbia bisogno AL MOMENTO (che non si può stabilire a priori, perché le energie hanno un alternarsi imprevedibile) di iniezioni immediate di zuccheri, anche tra un tempo e l’altro dello stesso concerto.

Quanto poi al programma Le faccio notare che Martha Argerich qui a Milano ha suonato il concerto di Schumann per due anni di seguito (chissà se avrà suscitato in tal caso la Sua levata di scudi), cosa che invece né io né il pubblico abbiamo trovato strana. E tantomeno venerdì scorso il pubblico ha trovato strano che abbia ripetuto i quattro concerti di due anni fa tra i quali ho “infilato” Schumann, altrimenti innanzitutto non sarebbero tornati (ho visto tante persone che erano al Dal Verme nel 2008) e poi c’era tanta altra gente che non mi aveva ancora sentito suonare. E Le assicuro che la visione interpretativa dei quattro concerti suonati nel 2008 quest’anno aveva novità radicali.

Ma probabilmente non era presente alle maratone precedenti, su cui però ha preso informazioni, altrimenti non avrebbe potuto riferire del commento del Corriere della Sera. Ho virgolettato “infilato” poiché è stata la parola che Lei ha usato nel commento; suvvia, il termine “infilare” si usa quando si parla di un filo in un ago, di un raccomandato della politica, dei pantaloni quando ci si veste la mattina. Il concerto di Schumann è un pezzo d’anima, un pezzo di storia della musica che ho voluto offrire per la prima volta al pubblico milanese. Poteva almeno usare un termine meno “contemporaneo” per definire la sua presenza in programma.

Ma vedo che Lei è Uomo del nostro tempo; ho notato infatti che ha parlato di odierne “abitudini sofisticate” e di “grandi musicisti contemporanei”. Siamo dunque addivenuti ad uno dei punti che più mi premeva affrontare e cioè la concezione della musica oggi e di oggi. Partiamo dal Suo commento storico, che è piuttosto inesatto: all’epoca delle accademie viennesi il pubblico ascoltava per ore concerti dai programmi mastodontici e tutto ciò faceva parte del vissuto dell’epoca. Non chiami “raccogliticce” le orchestre di allora, perché non ha testimonianze auditive, e, quanto alla prima vista, valuti bene prima di emettere giudizi.

Secoli fa la musica era un linguaggio così diffuso e conosciuto che i musicisti potevano tranquillamente permettersi di leggere a prima vista (tuttoggi le orchestre inglesi hanno una prima vista straordinaria!) essendo navigati esecutori. Lei si permette di definirli “propriamente non professionisti”, dunque quasi dei dilettanti, ma non è così. Erano i diretti testimoni dell’idea musicale del compositore, che spessissimo li indottrinava personalmente e si preoccupava di infondere loro il senso della musica spingendoli alla ricerca del giusto fraseggio e della giusta qualità del suono, passando anche sopra a qualche errore e a qualche stonatura.

Voglio dire che se la professionalità di cui parla è ripetere pedissequamente i passaggi al fine di azzeccare le note giuste probabilmente è fuori strada: la nota giusta, da ricercare anche lontano dallo strumento quando si ha il tempo di poter respirare e unificare il battito del cuore con l’armonia della natura, è quella che contiene quell’universo timbrico e di spiritualità che può far parlare di “interpretazione”, concezione questa che oggi si va sempre più affievolendo a favore di un’effimera ricerca di velocità nell’esecuzione, degna più dell’Autodromo di Monza.

Siamo sinceri, esistono ancora compositori come Mozart, Wagner, Schumann etc.? Se ritiene di sì io sono dell’avviso diametralmente opposto, e Le dico per testimonianza oculare e auditiva avendo assistito a diversi concerti che la stragrande maggioranza del pubblico (ed anche le orchestre che la suonano!!) che ascolta la musica di compositori contemporanei non lo fa con la stessa partecipazione emotiva che profonde quando ascolta la CLASSICA (non a caso il mio programma si è fermato a Rachmaninov).

Lei parla infine di “poco ma buono”, ma credo che anche sull’idea di “buono” la pensiamo molto differentemente. Riferisce infatti di esecuzione “esangue”: già dall’uso di questa parola traspare che potrebbe essere fra quelli che confondono la Sala da concerto con un’arena. La Sala da concerto non è il Colosseo. E’ un tempio, dove le connotazioni spaziotemporali si dissolvono ed esiste un sacerdote che svolge la missione affidatagli dal Supremo Architetto di comunicare agli astanti con massima semplicità il Pensiero, l’Idea, attraverso la musica di geni irripetibili che sembrano nati predestinati per farci intuire la Grandezza e l’Armonia dell’Universo. Chi suona certa musica sa di doversi fare interprete del Nous, dimentica le pulsioni degli istinti, le esagerazioni delle pseudoemozioni. Chi ha avuto la fortuna di studiare con Alfred Cortot ricorda perfettamente cosa diceva ai giovani pianisti: “evita che la Musica diventi la spazzatura delle tue emozioni e dei tuoi sentimenti”.

Ingegnere, quando si suona bisogna dare precedenza assoluta al fattore timbrico, al cosiddetto “colore” (che credo intuirà essere non il piano e il forte ma la diversa gamma di qualità del suono), unitamente ad un fraseggio che deve fluire nella maniera più semplice possibile (semplice nel rispetto assoluto delle indicazioni dell’autore). Sono queste (non sono certo il primo a dirlo) le orme lasciate dalla grande musica del periodo classico e da interpreti come Cortot e Benedetti Michelangeli. Invece il Suo orecchio (l’ho detto prima, Lei è una personalità tipica del nostro tempo) si aspettava probabilmente (altrimenti non avrebbe usato il termine “esangue”) quegli slanci che definirei “pseudoemotivi” e che trovano la loro unica espressione in esasperati contrasti dinamici.

E allora a questo punto parliamo un po’ di storia, gentile ingegnere. Conosce i pianoforti su cui suonavano Mozart, Chopin, Schumann e tutti gli altri Grandi? Sa che non possedevano le meccaniche di oggi e obbligavano l’interprete ad una continua ricerca timbrico-stilistica? E che la concezione del piano e soprattutto del forte era totalmente opposta a quella contemporanea? Dott. Viola, appena esce in città sentirà auto strombazzare, gente che grida o parla a voce altissima per farsi capire dato il chiasso diffuso, gli aerei sfrecciare roboanti nel firmamento. Tutto questo sta distruggendo le nostre orecchie e il nostro gusto. Di qui il mio rifiuto di prendere la stessa strada di alcuni colleghi “virtuosi” che caricano le frasi di esagerazioni di tutti i tipi e sembra che gareggino a chi suona più forte. Non è una questione di chi ha più capacità ma unicamente di Weltanschauung, di visione del mondo. Lei non può immaginare quale profonda soddisfazione interiore possa provare nell’aver potuto esprimere la mia concezione dell’arte davanti al colto pubblico milanese.

Le chiedo inoltre di investire più attenzione quando valuta “approssimativo” il Concerto di Schumann; forse non conosce il testo musicale abbastanza, anche perché probabilmente molto impegnato nel progettare porti. Le ripeto, se vuole sarò felice di mandarLe il cd con la mia esecuzione ma Lei si procuri la partitura, si chiuda in una stanza silenziosissima e ascolti con attenzione il tutto. A mio avviso il primo tempo è tra le esecuzioni più ricercate e attente alle ragioni musicali di tutto il programma.

E mi auguro che, prima di occuparsi di “critiche” musicali di concerti così “sui generis”, Lei abbia a monte una profonda preparazione musicale in qualche strumento. Sa meglio di me che preparazione significa aver studiato musica ore e ore per anni ed anni (non dimentichi che ha tacciato di scarso professionismo i solisti e i direttori di una volta).Questo è il presupposto della Conoscenza (non pretendo che Lei faccia il concertista, ovviamente) e ciò vale per qualsiasi campo.

La ringrazio infine per il complimento sull’ottima tecnica ma anche a tale riguardo vorrei puntualizzare qualcosa. Se Lei intende per “tecnica” le capacità virtuosistiche tese a realizzare al meglio i passaggi veloci forse è il caso che usi il termine “meccanica”, poiché “tecnica” è una parola che deriva dal greco “teknè”, cioè “arte”, dunque riferita a capacità artistiche e non solo manuali. In ogni caso prendo simpaticamente per buono il Suo complimento.

Ovviamente finché le energie me lo permetteranno continuerò a difendere il ricordo del passato con queste “Maratone”, convinto che il classico non stanca mai né mai passerà di moda. Sono altresì certo che il pubblico (lo hanno dimostrato i tantissimi biglietti venduti) si appassionerà sempre di più e in special modo i giovani, cui bisogna proporre alternative valide ai grovigli di altri tipi di concerti (rave party etc.), tante volte luogo di perdita d’identità se non occasione di diffusione di sostanze illegali. La cosa più bella è infatti stata vedere tanti giovani rimanere fino alla fine e chiedermi “ma come ha fatto?”

Mi dispiace che Lei si sia solo lamentato di aver perso sonno (sorry, spero abbia recuperato) e non abbia colto questo messaggio, che forse era quello principale, che altri giornalisti (che fanno i critici e non altri mestieri…) hanno invece messo in evidenza intervistandomi su giornali molto importanti. In attesa delle rettifiche di fatti oggettivi non riportati nel Suo articolo come l’applauso spontaneo alla fine del primo tempo del Concerto di Ciaikowsky ma sempre onoratissimo di poterLa ospitare ai miei concerti Le porgo i più distinti saluti.

Emilio Aversano



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