19 ottobre 2010

IL NOBEL PER LA MEDICINA CHE NON PIACE A TUTTI I CATTOLICI


 

E’ probabile che riguardando con occhio attento la storia, anche solo quella più recente e quella più vicina a noi, scopriremmo che le maggiori sofferenze e atrocità che gli umani hanno inferto ad altri membri della specie sono atti compiuti da individui fortemente convinti di agire moralmente per il bene. Chi compie male azioni sapendo di far male, o perché vi è costretto, o perché pensa di trarne vantaggio, o per il puro piacere di farlo, è sempre in qualche misura guardingo, sa di far male e si copre, circostanza che lo espone maggiormente a sollecitazioni mitigatrici e che, comunque proprio per questo, il male lo vede e lo sente. Chi, invece, è convinto di agire per il bene, o il bene della vittima o un bene collettivo di ordine superiore, è più facilmente accecato e protetto dal riconoscere e mitigare le sofferenze altrui.

Le guerre o le contese a sfondo religioso sono le più terribili perché i contendenti sono convinti di agire in nome del bene assoluto, dal che deriva che l’avversario è il male assoluto. Sono le gioie dell’assolutismo, bellezza. Si era sperato che l’umanizzazione del Cristo evangelico avrebbe ridotto la ferocia dell’assolutismo, ma poi è prevalsa la chiesa dei potenti su quella dei giusti, quella ideologica su quella umana e del perdono che chiunque può rileggere nei Vangeli.

Oggi, per fortuna, non siamo più – forse per un periodo breve, ma che comunque dura ancora – ai tempi descritti da Bartolomeo de Las Casas quando gli spagnoli, nel segno della croce, infilavano dodici nobili amerindi su una lancia in modo che sfiorassero il terreno con i piedi e sghignazzavano vedendoli sgambettare alla morte sfottendoli con il numero degli apostoli. Però l’ideologia è dura a morire e la perdita di ogni senso di umanità da parte di chi si crede portatore della verità assoluta nel segno del Signore, si è riversata su modesti uomini e donne che vogliono semplicemente vivere (e morire) coltivando i propri affetti e un personale desiderio di dignità personale.

L’amore per la vita, da segno di umanità, è diventato terribile minaccia come la croce in mano agli spagnoli: i cattolici ideologizzati strombazzano la “persona”, ma nelle questioni della vita hanno adottato un’ideologia materialistica e organicistica secondo cui “la vita” si riduce al grumo di muco disgustoso che il giornalista Socci agita sotto il naso della Melandri in televisione; per non parlare delle menti malate che mascherano le loro più inconfessabili pulsioni dietro professioni di fede per poter manipolare feti, muchi, molecole organiche di ogni genere, come campioni commerciali di una vita che, comunque, a quel livello, con la persona non ha nulla a che vedere. Come dice Barney Frank, non si capisce perché per un certo tipo di cattolici “la vita sia diventata solo quella che va dalla concezione alla nascita”.

Così quando il Nobel viene dato a una persona che crede alla legittimità del desiderio di vita, grazie alla procreazione e che con la sua scienza ha permesso a milioni di persone di nascere e a un numero anche doppio di genitori di gioire delle gioie (e dolori, ma la vita è questa) della filiazione, il Vaticano invece di schierarsi dalla parte di queste nuove vite si scaglia contro chi ne ha permesso il concepimento, implicitamente definendole come vite di seconda serie, se non proprio creature del demonio, certo bollate così da un mortale peccato originario: una bella contraddizione davvero. Le vie del Signore evidentemente non sono infinite, ma alcune si fermano davanti ai sensi vietati del soglio, imposti da uomini (non donne) che pretendono di avere il telefono rosso con il Padreterno.

 

Guido Martinotti

 



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