19 ottobre 2010

LE PIAZZE E I MONUMENTI


 

Sulla facciata del broletto, in piazza dei Mercanti, è incastrata la statua a cavallo di Oldrado da Tresseno, il podestà che nel 1233 ne decretò la costruzione. La stessa riconoscenza civica cui dobbiamo i ritratti equestri di Guidoriccio da Fogliano a Siena, di Giovanni Acuto e di Niccolò da Tolentino a Firenze, e le celebri statue del Colleoni a Venezia e del Gattamelata a Padova in mezzo a una piazza.

Ma statue dei Signori non sembrava proprio il caso – quella leonardesca di Ludovico il Moro rimarrà allo stadio di modello in creta davanti al castello- quella equestre di Niccolò III d’Este a Ferrara sarà addossata al palazzo e quella singolare di Carlo V nella piazza Bologni a Palermo sarà senza cavallo.

A legittimarne l’ambizione sarà la statua equestre di Marc’Aurelio al centro della piazza del Campidoglio a Roma e quella di Cosimo dei Medici in piazza della Signoria a Firenze, che sua figlia Maria, andata sposa in Francia a Enrico IV, vorrà replicare per il marito sulla punta dell’Ile de Cité, e quando poi a Firenze verrà eretta una statua a Ferdinando I, nella piazza dell’Annunziata tutta circondata da un’architettura uniforme, una statua di Luigi XIII, il figlio di Maria, verrà eretta in mezzo a un’altra piazza monumentale, place des Vosges.

Sarà da allora tutto un fiorire di statue dei sovrani, le due dei Farnese a Piacenza, ma soprattutto quelle al centro di una piazza monumentale: non soltanto nelle altre celebri di Parigi – place Vendome e place de la Concorde – ma anche a Lisbona, a Madrid, a Bordeaux, a Reims, a Lione, a Copenhagen, a Torino, a Montpellier, a Nancy, e quelle con Luigi XIV in piedi a Valenciennes e a Parigi in place des Victoires.

I rivoluzionari francesi dimostrarono, tirando giù le statue dei Borboni, quanto la gloria dei sovrani fosse aleatoria. Tuttavia con l’affermarsi delle nazioni e confidando nella loro perpetuità verranno ora erette le statue delle personalità che hanno contribuito la loro nascita politica e culturale, qui a Milano Garibaldi, Vittorio Emanuele e Cavour tra i primi – ma non dimentichiamo lo stanco generale Missori -, Leonardo, Parini o Manzoni tra i secondi.

Ecco statue di Kléber a Strasburgo, di Goethe a Vienna, di Voltaire a Parigi, di Raffaello a Urbino e beninteso di Cristoforo Colombo a Genova. E a Bordeaux un complicato monumento ai Girondini mentre altre statue celebreranno scienziati e inventori, e persino al selezionatore della razza vaccina Limousin.

Ma ora gli umori politici rendono di nuovo aleatoria la celebrazione delle memorie: a Milano verrà fusa una statua di Napoleone III per gratitudine della campagna del 1866, ma quando Crispi schiererà l’Italia contro la Francia la statua rimarrà a ingombrare la corte del palazzo del senato e ancora oggi è confinata in un angolo del parco Sempione.

Così l’ultimo monumento dovunque condiviso sarà quello per i caduti della prima guerra mondiale, mentre quelli eretti dai dittatori del successivo ventennio finirono come sappiamo.

Senonché, giusto verso il 1920, la teoria estetica moderna sosterrà che nell’arte conta la visione dell’artista e non il soggetto, tanto che potrebbe benissimo essere astratta – e in effetti lo fu. Sicchè vedranno nelle statue delle piazze non tanto il soggetto raffigurato ma quanto l’opera dello scultore che lo ha eseguito, e dunque, se gli scultori del passato avevano modellato statue messe su una piazza, anche quelli moderni hanno il diritto di metterci la loro: proprio come Michelangelo il suo David.

Solo che i monumenti sono nati con un significato, quello di celebrare le persone che raffigurano, ed è per questo significato che come cittadini le percepiamo, le condividiamo, forse le vorremmo cancellare: anche se poi come amanti delle belle arti non saremo del tutto indifferenti al loro ultimo destino, seppure di molti dei loro autori pochi saprebbero i nomi.

Di fatto le opere d’arte moderne, messe in mezzo a una piazza o a un rondò per coltivare la vanità di un artista e per tutto il resto prive di un qualche significato collettivo, starebbero molto meglio in una strada pedonale dove tutti potrebbero ammirarle da vicino come il sole di Arnaldo Pomodoro in piazza Meda.

Ma si presenta ora un caso nuovo, di una scultura con un innegabile spessore figurativo e con un evidente significato, irridente invece che celebrativo, questo dito mozzo di Cattelan in piazza degli Affari: e, perbacco, dal momento che ha un significato, non sappiamo se lasciarcelo o se toglierlo.

Tuttavia, se ha un significato che tutti possono cogliere, mantenerlo o toglierlo non è più una faccenda da specialisti – quel poco che so l’ho scritto fin qui e non se ne cava un giudizio irrevocabile – ma piuttosto competenza di tutti i cittadini, tutti ma proprio tutti in grado di discuterlo, forse oscillando tra quelli che nella Borsa hanno avuto poca fortuna e nel dito trovano il conforto di uno sfregio ufficiale e quelli cui invece la fortuna arride, cui forse questo dito mozzo levato verso il cielo potrà sembrare foriero di una qualche sfiga per il futuro.

 

Marco Romano

 



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