5 ottobre 2010

SCELGO PISAPIA


 

E’ sempre rischioso appendere le proprie speranze di cambiamento socio-culturale a una persona sola. In questi anni abbiamo tutti constatato il declino di chi si era presentato come il Demiurgo e che ora accompagna passivamente il declino del Paese. Giuliano Pisapia sarebbe il primo a rifiutare un tale investimento cieco e fideistico. Un sindaco può solo fungere da “enzima logico” per il cambiamento che a Milano pare necessario, ma tocca a ciascuno essere quel cambiamento che vorrebbe vedere nella città, per parafrasare un famoso appello di Ghandi: “Siate voi il cambiamento che vorreste vedere nel mondo!”. Quale cambiamento vorrei vedere a Milano? In primo luogo, qualcosa che dipende innanzitutto dai cittadini: la tensione al bene comune della città. So bene che non è colpa solo dei soli milanesi, se nella città si respira un clima di odio, di inimicizia, di intolleranza, di insopportabilità, di nervi tesi.

E’ tipico di tutto il Paese, che vive da anni una guerra civile sotterranea, ma violenta. Origina certamente dalle paure della società civile, immersa in una trasformazione profonda, tumultuosa e inattesa; ma è la politica che fa da megafono a queste tensioni, ci investe, le potenzia, vi costruisce il consenso. Chi ha un’idea diversa del bene comune viene trasformato in nemico del popolo. Accadeva nei tanto deprecati regimi totalitari del Novecento, cui sono stati dedicati Libri neri. A quanto pare vi si aggiungono nuove pagine “democratiche”. Tocca ai cittadini non odiarsi, non recriminare di continuo, non battere il mea culpa sul petto del vicino. Ma è compito della politica ricondurre il conflitto alle sue ragioni, all’uso pubblico della ragione. Non credo che la politica debba o possa unire la società, che è inevitabilmente e da sempre attraversata da conflitti di interessi, di idee e di passioni.

Essa deve però preservare le regole del gioco. Giuliano, per come lo conosco, ha questa caratteristica preziosa: la capacità di ragionare e di far ragionare. Non ha nessun senso dell’immagine, mi pare che non gliene importi nulla, nessun luccichio. Mi piace per questo. So bene che questa è “soltanto” una caratteristica antropologica della persona, non dice ancora nulla delle intenzioni, dei programmi, degli impegni. Non vorrei apparire cinico o scettico, se sostengo che di programmi mirabolanti ne abbiamo sentiti annunciare così tanti in questi anni che ci abbiamo fatto il callo. Si assomigliano tutti quanti. Non mi illumino d’immenso, quando li sento enunciare. Prima dei programmi, si tratta di comunicare un clima, un modo di guardare i cittadini, i loro conflitti, le loro paure. E la questione non è solo di raccomandare il ritorno alle “regole”, il rispetto dei diritti altrui. Non basta questo kantismo di ritorno, che non riesce a diventare passione etica. E’ il praticare la ragione pubblica, ragionare e far ragionare il sentiero stretto da percorrere e da indicare. Solo su questa ragione, fatta di visioni, di diritti, sì, ma anche di doveri, solo su una ragione cosiffatta è possibile far ripartire una vita civile densa di passioni, ma costruttiva. Mi pare che Giuliano sia la persona giusta per questa cultura.

A questo punto parliamo, sì! dovremmo parlare di programmi. Tra i tanti, solo un accenno a un punto. In questi anni abbiamo assistito a una separazione crescente tra politica del Sindaco e amministrazione comunale. La politica si è dedicata all’immagine, mentre l’Amministrazione comunale tiene in mano realmente il vivere quotidiano dei cittadini, attraverso i servizi che eroga e gestisce.

E’ lì che i cittadini sperimentano i disagi e qualche volta le angherie di un’Amministrazione gigantesca, pesante, spesso inefficiente. Dall’epoca di Tognoli sì è tentato varie volte di semplificare, con scarsi risultati: la famosa amministrazione asburgica è in realtà diventata sempre più “romana”. Dietro sta l’idea che lo stato-Comune deve gestire tutto e che i cittadini siano solo utenti. Mi aspetto un cambio di questa mentalità. Dove i cittadini organizzati possono fare da soli – soprattutto nel settore delicato dei servizi alla persona – lì l’Amministrazione deve vigilare, ma spingere a fare direttamente. E’ quella che si chiama “sussidiarietà orizzontale”.

 

Giovanni Cominelli



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