5 ottobre 2010

NUOVI EDIFICI IN VECCHIA URBANISTICA


 

Nonostante l’eccellenza dei progettisti, il nuovo complesso urbano del Portello, sorto sul terreno una volta occupato dagli Stabilimenti Alfa Romeo, non merita particolari elogi: esso infatti ripete gli schemi urbanistici ormai diffusi e consueti, sia in Italia sia all’estero: schemi che possono riassumersi in una tipologia sempre uguale, consistente in una distribuzione di grossi volumi entro zone non costruite, e tenute apparentemente a verde, ma in realtà prevalentemente lastricate, per far posto a strade, a rampe, ad autorimesse sotterranee, e a parcheggi in superficie. Anche nel complesso urbano del Portello ciò che colpisce è l’enormità dei volumi costruiti, non solo considerevolmente elevati in altezza, ma anche massicciamente estesi in lunghezza e larghezza. Ciò che disorienta, inoltre, è l’apparente casualità della loro dislocazione sul terreno. Non si legge nessuna logica nell’accostamento dei vari corpi di fabbrica, né si capiscono le ragioni del loro diverso e continuamente variato orientamento.

Esiste nella Relazione Tecnica del progetto l’indicazione di un asse diagonale che collegherà il polo commerciale tangente a Via Traiano con la grande piazza inclinata affacciata su Viale Scarampo, e che scavalcherà il traffico veloce di Viale Serra, dal quale è drasticamente dimezzato in due parti il complesso urbano del Portello. L’utilità dell’asse diagonale, tuttavia, rimane alquanto problematica: con quale criterio sono stati scelti i due poli che ne costituiscono le estremità? Qual è la sua reale funzione nell’ambito del complesso urbano? Rimane anche problematica la sua effettiva visibilità all’interno della zona edificata, giacché nessun elemento architettonico lo delimita e lo evidenzia in modo deciso. L’asse diagonale, infatti, è segnato soltanto da una passerella pedonale che unisce le due metà della zona edificata, poste rispettivamente a nord e a sud di Viale Serra, ma non è sottolineato da nessun corpo di fabbrica allineato lungo i suoi lati, e da nessuna quinta edificata, che serva a individuarlo e farlo percepire anche da lontano. Non abbastanza visibile è la presenza della sola passerella se si vuole segnalare un’arteria destinata ad assumere importanza vitale nell’insieme urbano progettato.

L’asse diagonale si conclude sotto un porticato di pianta quadrata, una loggia coperta, posta in mezzo alla grande piazza inclinata, affacciata su viale Scarampo. Troppo piccola la loggia per fungere da mercato coperto; troppo grande per essere usata come luogo di sosta e di riparo dal sole e dalla pioggia. Chi andrà mai a mettersi sotto di essa esponendosi allo sguardo dei molti curiosi che lavorano negli uffici o nelle abitazioni circostanti? E allora a che serve questa loggia d’ispirazione fiorentina, del tutto estranea alla storia dell’edilizia milanese?

La grande piazza inclinata, al cui centro si eleva la loggia, dovrebbe essere considerata il centro principale dell’intero complesso urbano; ma in realtà, più che di una piazza ha l’aspetto di una immensa spianata, un invito per le auto ma un incubo per i pedoni, che si sentiranno smarriti nella sua opprimente vastità, senza limiti né confini ben definiti. Non basta il bel disegno della spianata, ispirato al pavimento in Piazza del Campidoglio a Roma, e non è sufficiente a ridare dimensione umana all’intero complesso. Così come non basta l’infittirsi del disegno, in prossimità della passerella, a indirizzare i passanti e guidarli verso nord al di là di Viale Serra. Il disegno infatti si vede con chiarezza dall’alto ma sfugge alla vista di chi si trova a livello della piazza; e perciò, nonostante l’inclinazione di quest’ultima, non può fungere da indirizzo segnaletico efficace.

I tre giganteschi edifici che prospettano sullo slargo di Viale Scarampo, non essendo allineati tra loro, ossia non essendo né paralleli né ortogonali gli uni con gli altri, difficilmente potranno essere percepiti come confine di uno spazio compiutamente circoscritto; sia perché non contribuiscono a delimitare un perimetro continuo e lineare, sia perché la loro reciproca distanza è talmente dilatata da togliere quella sensazione di raccoglimento e di riparo che lo spazio di una piazza dovrebbe saper dare.

Ciascuno dei tre edifici ha un profilo di copertura inclinato, che corre in pendenza da un estremo all’altro dei suoi due lunghi fianchi. Alla estremità più alta della copertura sono nascosti gli ingombranti volumi tecnici: ma il grigliato che dovrebbe mascherarli non è abbastanza fitto per nasconderli alla vista, e coprirne la sagoma. Ciò conferisce all’involucro esterno dell’edificio una fragilità da stagnola, una debolezza da carta argentata, un aspetto effimero e deformabile, che contrasta e mal si accorda con la sottostante massa dell’intero corpo di fabbrica, marcato da pesanti fasce orizzontali.

La linea diagonale inclinata della copertura dei tre edifici dovrebbe suggerire una convergenza verso un punto focale, cioè verso il polo geometrica della composizione urbanistica. Poiché l’inclinazione altimetrica delle coperture non è accompagnata da una parallela inclinazione planimetrica dei tre corpi di fabbrica, tale supposta convergenza non esiste affatto, e tutta l’enfasi attribuita ai profili inclinati si disperde nel nulla.

Per fortuna vi è un settore all’interno dell’intervento al Portello che ne riscatta il mediocre impianto urbanistico: è il giardino progettato da Charles Jencks.

Un giardino moderno, elegante, raffinato. Una movimentata composizione di verde, ricca di visuali sempre diverse, attraversata da percorsi sempre vari, dotata di vegetazione sempre nuova. Là dove risulta necessario introdurre variazioni panoramiche, il terreno s’innalza in leggeri rilievi o si abbassa in piccoli avallamenti; là dove è giusto mantenere un’uniformità altimetrica, il terreno si estende in riposanti e raccolte pianure.

Un giardino così sapientemente progettato dovrebbe servire da modello agli architetti-paesaggisti della nostra città. Il Comune di Milano, da un felice esempio di giardino come quello del Portello, dovrebbe prendere spunto per migliorare la politica del verde urbano, e realizzare parchi pubblici meno banali di quelli attuali. Non si facciano più ridicole aiuole sparpagliate a caso, e spesso relegate nelle aree residue d’incroci stradali; non più giardinetti del disegno convenzionale e antiquato; tanto graditi alla mentalità incolta e provinciale dei nostri Amministratori, ma tanto lontani dalle aspettative di felicità e di fantasia coltivate degli abitanti di una città moderna.

Servirà il felice esempio del Portello a migliorare il futuro verde di Milano?

 

Jacopo Gardella



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