5 ottobre 2010

LA SCOMPARSA DELLA MILANO FINANZIARIA


    

 

Che ruolo gioca Milano nella finanza italiana ed europea? L’Italia regredisce, come legna che lenta si consuma al fuoco; e Milano, che ne fu capitale morale, con lei. È troppo faticoso continuare a essere il ponte che tiene il Paese legato all’Europa, più comodo restare capoluogo economico di un Paese che arretra. Sempre primi in classifica sì, ma giocando nelle serie inferiori; dalla B potremmo presto calare fra i semi-professionisti. Non punta più, la città, ad attrarre le migliori energie, accetta il dominio di un ceto ristretto- per numero e cultura- di anziani ricchi, che non vogliono intralci alla loro quieta vita, ma negano agli altri questa prospettiva; a chi la vita se la vuole costruire, ma non può disturbare i gerontocrati bottegai che, tramite il sindaco, governano Milano. Un sindaco che demanda la decisione se chiudere Via Montenapoleone- ciò che si sarebbe dovuto fare da decenni- al parere degli stilisti!

La città guarda assai meno di prima al mondo, e pende dal Nord pedemontano dove pesca voti e potere la Lega. Questa ormai detiene il pacchetto di controllo di quanto resta di uno Stato italiano che essa vuole dimidiare; ove la sua influenza sale, come la luna piena, a misura che tramonta il sole-patacca del berlusconismo. Lega che inoltre governa direttamente due delle tre grandi regioni del Nord, condizionando fortemente la terza. Milano ospitò un tempo due delle tre banche di interesse nazionale (Bin): la Comit, e il Credito Italiano, che aveva a Genova solo la sede legale. Oggi la prima banca è sparita dentro Intesa San Paolo (ISP), mentre la seconda si è trasformata in Unicredit (UC), divenuta grande banca europea grazie alle fusioni prima con una serie di Casse di Risparmio del Nord, poi con la tedesca HVB e infine con Capitalia, la terza ex-Bin (sorella minore, malvista dalle due milanesi per i suoi legami politici col mondo romano).

Milano ospita ancora Mediobanca, che dopo la morte di Cuccia è alla ricerca di un’identità, ma rischia di soccombere- con l’arrivo a Trieste del power broker Geronzi- al dominio delle Generali, dove pure essa avrebbe una quota di sostanziale controllo. Qui c’era una volta anche una serie di banche (dalla Cariplo in giù), ora inghiottite altrove. È rimasta solo una banca milanese di qualche peso, la Popolare di Milano, un ircocervo ove imperano i sindacati, ma il presidente lo ha nominato Bossi; ipse dixit. È Ponzellini, prodiano con Prodi, leghista con la Lega, in futuro si vedrà. (Uno che critica Napolitano perché era da Obama il giorno dell’assemblea di Confindustria; far questo, per lui, è come dire alla moglie che non ceni con lei la sera del suo compleanno perché vai dall’amante!).

Dopo le aggregazioni, resta a Milano il centro finanziario del Paese, ma il peso delle “sue” banche è diminuito, nonostante i due maggiori gruppi abbiano il centro qui. Ambedue, infatti, hanno molte anime. ISP ha una forte, e “vocale”, anima sabauda, eredità della fusione con il San Paolo. UC, oltre a quella italiana (dispersa su tutto il Nord fra Torino e Verona), ne ha anche una tedesca. Queste fusioni sono avvenute con il sostegno delle Fondazioni ex bancarie, che hanno accettato di scendere di quota per consentire le operazioni. Imbaldanzita dai risultati elettorali recenti, però, la Lega- il solo erede politico di Berlusconi, quando alfine ci sarà un’eredità (politica, s’intende!) da ricevere- ora reclama il ritorno alle vecchie pratiche, che hanno dato pessima prova in quelli che ci parvero gli anni peggiori della partitocrazia.

Lo scontro che ha portato alle dimissioni di Alessandro Profumo è ancora poco decifrabile, ma certo se a UC gli azionisti, per qualsiasi motivo, volevano cambiare la guida della banca e mandar via il numero uno, prima avrebbero dovuto individuare con calma un sostituto adeguato, e solo poi procedere: così di fretta si licenzia solo chi sta scappando con la cassa! Il mestiere di manager comporta rischi del genere, peraltro di solito ben retribuiti, ma è stata una pessima figura. Quali che siano le cause di questo comportamento, quando una banca, come UC, assume una dimensione europea, inesorabilmente va in rotta di collisione col localismo. La Lega ha attaccato più volte Profumo, colpevole (per il sindaco di Verona, Tosi) di non fare “gli interessi del Veneto”! Sempre la Lega, tramite il presidente del Veneto, Zaia, reclama il diritto di piazzare i suoi uomini nelle banche, perché e meglio che ci andiamo “noialtri” piuttosto che “gli altri”. Se questo ci dice l’opinione che ha Zaia dei suoi compagni di banca, lui e Tosi ci rendono la misura di un provincialismo che speravamo di esserci lasciati alle spalle, e che invece dalle spalle ci aggredisce, ricacciandoci indietro nella troppo lenta emancipazione dalle nostre storiche arretratezze. Milano in Italia resta forte; è l’Italia che lo è sempre meno.

 

Salvatore Bragantini



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