29 settembre 2010

LA CALDA ESTATE A EXPOLANDIA


 

L’estate milanese ha evidenziato la crisi dell’operazione Expo 2015. Sono passati tre anni da quando parlammo di Expo iattura per la città. Da allora è successo di tutto, sono cambiate tante cose, non le ragioni per lottare contro Expo e ciò che sta dietro il grande evento.

Il modello economico-sociale, sino al 2007, anno di esplosione della crisi, s’è fondato sulla finanziarizzazione di ogni spettro della vita sociale, con intreccio fondamentale tra ciclo immobiliare e mercati finanziari tramite la cartolarizzazione dei crediti concessi per l’acquisto della casa. In Spagna, tanto celebrata per le sue ‘Esposizioni’, il crollo del ciclo finanziario immobiliare ha travolto l’economia e portato la disoccupazione sopra il 20%. Sfruttamento del territorio e privatizzazione delle sue risorse sono componenti ineliminabili delle logiche di valorizzazione, così come la privatizzazione ed esternalizzazione dei servizi pubblici, sia le reti infrastrutturali che i servizi alle persone. Inoltre il modello, da noi noto come “modello lombardo”, esalta la precarizzazione di ogni rapporto di lavoro. Questo modello di gestione del territorio e del potere è privo di dimensione strategica; crea e deve ricostruire costantemente le basi del consenso, in questo la mobilitazione mediatica attorno ai grandi eventi è l’altra faccia rispetto alla mobilitazione dei sentimenti di paura e razzismo.

In questo quadro “pre-crisi” Expo 2015 serviva per ristrutturare e ricomporre centri di potere economico, politico e finanziario, a perpetuare modello e profitti; oggi serve per drenare le poche risorse pubbliche rimaste e beni comuni da privatizzare, scaricando, secondo logiche da shock economy, su territori e collettività, i costi della crisi e della speculazione finanziaria e immobiliare. Nonostante tre anni di tagli, privatizzazioni, promesse future e deroghe legislative l’operazione non decolla, anzi il pesce Expo puzza sempre più di marcio, non solo per gli appetiti delle mafie sugli appalti.

Expo è diventato un ospite ingombrante per chi lo ha usato, a fini propagandistici ed elettorali. Malgrado le rassicurazioni tremontiane, soldi non ce ne sono, idee men che meno, l’unica certezza è che per fare Expo si devono regalare soldi, sottoforma di diritti edificatori, ai proprietari delle aree, per realizzare una rassegna già fallimentare. Non a caso i balletti e le lotte intestine al blocco politico-economico maggioritario nel paese sul controllo di Expo: o resta un business finanziario e garantito con denaro pubblico o crolla tutta l’impalcatura e nessuno vuole rimanere con il cerino acceso in mano, a meno di non trovare nuovi equilibri e nuovi garanti, anche in materia di controllo sociale e dei “malumori” di piazze e territori.

La lettura a posteriori delle cronache dell’estate milanese e non, conferma quest’analisi.

Innanzi tutto la vicenda Expo Spa. L’uscita di Stanca e la sua sostituzione ai vertici con Sala, vicino alla Compagnia delle Opere, esprime la volontà del sistema di potere formigoniano di prendere pieno controllo dell’operazione Expo, non accontentandosi più di gestire la parte infrastrutture e, tramite Fiera, le vicende legate al sito Expo. Quasi contemporaneamente, inchieste e arresti colpiscono esponenti di spicco della Regione Lombardia, uomini della Cdo, imprenditori, cosche, scoperchiando un marciume che va dalla movimentazione terra, allo smaltimento rifiuti, alle bonifiche con evidenti riscontri dell’interesse di ‘ndrangheta e mafia per il business Expo. Le inchieste coinvolgono anche l’area di Santa Giulia, uno dei progetti fiore all’occhiello con cui la Moratti aveva presentato al B.I.E. la Milano del 2015.

Le inchieste confermano un quadro già palese tre anni fa: Expo è una grande opportunità per le mafie, lo strumento ideale per lavare soldi sporchi e fare profitti puliti. In questi anni più volte la Magistratura ha evidenziato il problema, solo Moratti, De Corato, Formigoni e il Prefetto sembrano non vederlo, preferendo distogliere l’attenzione dei milanesi verso altri pericolosi soggetti, cui rivolgere accuse e deliri securitari (rom, centri sociali, quartieri meticci, occupanti di case per necessità). Come se non bastasse, alla piovra criminale si somma la piovra politica, spesso affine alla prima come le indagini sembrano confermare, e in particolare il sistema di potere e clientelare che Formigoni la Compagnia delle Opere hanno in tutta la regione.

Tutta l’operazione Expo si può dire gestita da uomini CdO: Sala, A.D. di Expo Spa, Fiera, proprietaria delle aree, il tavolo Lombardia controllato da Formigoni, che si occupa delle opere infrastrutturali, i comuni più interessati all’evento (il sindaco a Rho, Masseroli l’uomo del PGT di Milano, i comuni della Brianza interessati dalla Pedemontana). La vicenda dell’acquisto delle aree mostra che gli appetiti affaristici sono tanti e s’intrecciano alle lotte interne alla destra per le prossime elezioni amministrative, già emerse nell’approvazione del Piano di Governo del Territorio di Milano.

E’ il PGT, approvato a luglio e che dovrà passare in seconda votazione entro marzo 2011, a fornire le garanzie migliori per il business Expo. Infatti, sancendo la completa deregolamentazione urbanistica e il trionfo dei diritti volumetrici, permette di trasformare in diritti edificatori i soldi che non ci sono, per buona pace di Boeri e di quanti pensano ancora all’Expo-Gulliver gigante buono. Le volumetrie enormi previste dal PGT unite al trionfo della sussidiarietà nella gestione di quelli che erano i servizi pubblici (tema e business caro alla CdO, ma anche alle Coop, come del resto il mattone) permetteranno ai privati che investono in Expo di trovare ben laute ricompense.

Saprà la città evitare tutto questo? Questa la scommessa dei prossimi mesi, salvo implosione di Expo complice la borsa chiusa di Tremonti. La prossima campagna elettorale si giocherà anche su chi la sparerà più grossa e darà più garanzie sul tema. Già oggi assistiamo a un riposizionamento di una serie di soggetti politici ed economici, trasversali agli schieramenti, sia in chiave nazionale che milanese. Strani feeling, riconoscimenti reciproci. In questo senso la candidatura di Boeri a sindaco, sostenuta dal PD, non è solo l’ennesima ambizione dell’archistar buono per tutte le stagioni (dal CERBA nel Parco Sud, a Ligresti, ai grattacieli di Garibaldi, al masterplan di Expo). Leggiamo in essa la volontà del PD milanese e del sistema economico che vi ruota attorno, di erigersi a garanti dell’operazione Expo e di quanto contenuto nel PGT, magari con un po’ di case in più per le Coop (già interessate a Expo tramite la proprietà di Euromilano sull’area di Cascina Merlata).

Soprattutto vediamo il centro sinistra ambire a un ruolo, rispetto ai centri del potere economico-finanziario, di alternativa credibile alla destra nel portare avanti grandi eventi e grandi opere, in un clima di maggior disciplinamento e controllo sociale e di accettazione di tagli e sacrifici. Come leggere se no le dichiarazioni estive di Penati e Boeri che reclamavano soldi e attenzioni per Expo? Siamo al ridicolo, con la proposta di nuove aree dove fare la rassegna (da Arese a Porto di Mare) e con Tremonti che si erge a paladino degli Expo-scettici, dopo aver devastato scuola, università e ricerca per trovare i soldi per le grandi opere. Così come fa sorridere l’ingenuità di chi scopre solo oggi i rischi speculativi legati a Expo e propina un inutile referendum dal sapore elettorale, utile solo alla campagna elettorale di Boeri.

Un paese normale avrebbe già chiesto scusa al mondo e risparmiato soldi per altri impieghi ben più urgenti. Ma le iene del grande evento, banche e speculatori vari non si arrendono e confidano che Expo vada avanti in nome dell’orgoglio patrio e dell’emergenza nazionale. Tutti amici, tutti fratelli, tutti sul carro con il sacco da riempire e guai a chi contesta. Questo il contesto in cui si annuncia l’ennesimo autunno di crisi e di lotte cui la politica non sa più rispondere, se non con insofferenza bipartisan e ricette sociali ed economiche a senso unico. Chi critica i signori della crisi, i Marchionne, i finti sindacalisti o riformisti teorici del meno diritti e più precarietà, è considerato un pericoloso terrorista. Ai territori stufi di essere saccheggiati o inquinati si risponde con le manganellate, come con gli Aquilani o a Terzigno. Così come con i manganelli si risponde a chi lotta per difendere la scuola pubblica, il posto di lavoro e la dignità dello stesso. E mentre accadeva questo, ad agosto, sono state rinnovate le deleghe alla Protezione Civile in materia di grandi eventi, Expo incluso, a chiarire che non esiste altro Expo se non quello che hanno in mente lorsignori, costi quel che costi.

Un soggetto manca nella tragi-farsa: la popolazione della metro-regione Milano, che pagherà i costi diretti di Expo, così come sono assenti le tante vittime indirette, i “tagliati” nella scuola e nei servizi pubblici, i precarizzati. Sembra che Expo cali dall’alto e i soldi maturino nelle fantomatiche serre. La città sta già pagando i costi di Expo sommati a quelli della crisi. Le tasche degli italiani sono già troppo impoverite per poter arricchire una casta privilegiata, ingorda e arrogante. Il prossimo voto milanese non risolverà la partita, se non si esce dalla logica “degli expo” o delle “olimpiadi” e non si pensa a un progetto di città, di convivenza sociale, di pubblico e bene comune, di nuovo welfare su scala metropolitana. Tutto questo manca nel dibattito, non solo milanese, ma i bisogni e le emergenze restano. Resta la necessità che siano le persone, le popolazioni, i soggetti attivi sul territorio a ritornare protagonisti, condividendo saperi e percorsi reticolari di lotta e rivendicazione: per fermare il PGT di Milano e ripensare la città metropolitana, il concetto di servizi pubblici, la mobilità, il consumo di suolo; per uscire da Expo 2015 e costruire un movimento più ampio per abolire la Legge Obiettivo (quella delle grandi opere e dei grandi eventi in deroga alle norme e poteri speciali nelle mani di pochi); per rivendicare un nuovo modello di welfare metropolitano, che garantisca continuità di reddito e servizi pubblici.

 

Luca Trada


 



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