21 settembre 2010

IL FUTURO IN UN QUIZ, STUDENTI A NUMERO CHIUSO


 

Quale personaggio storico è associato al Neoguelfismo? Quale avvenimento è associato alla figura di Enrico IV umiliato a Canossa nel 1077? Riuscite a completare un verso del filosofo greco Stobeo? Queste sono alcune delle domande richieste per accedere ai corsi di Medicina e Chirurgia. Ogni anno, durante i primi giorni di Settembre, si ripete secondo un preciso cerimoniale, il calvario delle prove di ammissione alle Lauree a numero chiuso.

Speranze, sogni, progetti messi in difficoltà da un semplice quiz a risposta multipla. Strumento più criticato che lodato a tal punto da scatenare vere e proprie battaglie legali da parte di associazioni o movimenti per contestarne l’esito e a volte il contenuto delle stesse domande. Emblematico il caso del Dottor Massimo Citro, medico torinese, laureato da oltre venti anni che nel 2007 decise di sottoporsi al test d’ingresso alla facoltà di medicina e venne bocciato, diede vita a un movimento contro il numero chiuso e scrisse il libro “Vietato Studiare”. Battaglia sempre aperta dunque, purtroppo solo per poche settimane all’anno sulla bocca dell’opinione pubblica, con l’inizio dell’anno accademico il dibattito si sposta infatti nei tribunali dove molti ragazzi vengono purtroppo lasciati soli. A tale proposito ricordiamo il caso dell’Avvocato romano Michele Bonetti, che da diversi anni mette a disposizione il suo studio legale all’Unione degli Universitari per attività di consulenza per cause contro le decisioni degli atenei. Un mondo in movimento dunque composto non solo da studenti ma anche da professori, professionisti e politici. Sul tema abbiamo intervistato Alessandra Gatti e Filippo Barberis, i referenti provinciali dell’università rispettivamente per i Giovani Democratici e per il Partito Democratico.

<<Il test d’ingresso diventa necessario prevalentemente per evidenti carenze strutturali. – Ci confessa Alessandra – Non è di per se un’esigenza naturale ma è causata da uno scarso investimento sull’Università. Non solo; i professori e lo stesso personale non sono in grado di coprire tutte le esigenze. Il problema riguarda la modalità di selezione all’ingresso. Finché non s’investirà in modo adeguato i test d’ingresso restano necessari>>. Immediata la replica di Filippo: <<Il numero chiuso è certamente uno strumento impopolare ma in molti casi inevitabile per mantenere un rapporto sostenibile tra studenti, strutture, professori e risorse degli atenei>>. Sembra quindi evidente che occorre dare a tutti gli studenti la possibilità di confrontarsi con i diversi percorsi di studio senza secche barriere all’ingresso. Filippo Barberis continua: <<Considero giusto anche mettere a disposizione degli studenti percorsi di autovalutazione, da avviarsi nell’anno precedente all’immatricolazione, che conducano a test d’ingresso o a esami preliminari su quelle materie in cui occorre colmare lacune per frequentare il corso di laurea cui si aspira. Così facendo si costruisce un sistema si selezione più morbido e in grado si orientare meglio gli studenti. Utile osservare in questa prospettiva le procedure di accesso utilizzate dal Politecnico di Milano>>.

Diverse sono le modalità assunte in altri paesi europei. In Francia per medicina viene effettuato un concorso dopo il primo anno di frequenza dei corsi, in Germania si stanno facendo graduali passi indietro introducendo altri criteri selettivi come il voto di maturità. Filippo ci spiega: <<Ricordo che l’Italia è in fondo alla classifica dei paesi europei per numero di laureati con il 19% rispetto alla media OCSE del 33%. La vera sfida dunque non sta nel restringere in maniera indiscriminata le maglie d’accesso, ma nel creare un sistema in grado di dare strumenti di autovalutazione chiari agli studenti che intendono intraprendere un corso di laurea, di migliorare e valutare ripetutamente forma e contenuti dei test, di selezionare in itinere senza frenare la mobilità sociale e tenendo alta l’attenzione sulla qualità dei percorsi formativi, il valore “non legale” del titolo di studio e la sostenibilità finanziaria e strutturale degli atenei. Una sfida certo non semplice ma che va affrontata nel contesto di una complessiva riforma del sistema universitario>>.

Inadeguatezza del test d’ingresso rispetto al suo reale utilizzo, impoverimento dei corsi di laurea cosiddetti di ripiego, alimentazione del sistema baronale, sono alcuni degli effetti collaterali di questa modalità di selezione. Chiediamo approfondimenti ad Alessandra Gatti: <<Possiamo affermare che questo sistema non è in grado di valutare la motivazione personale. L’iscrizione a una facoltà simile, in caso di fallimento, è un fenomeno diffuso; in attesa della possibilità di ritentare il test l’anno successivo. Questo, oltre a dimostrare il fallimento del sistema, crea inevitabilmente corsi di laurea di serie A e corsi di serie B. Per quanto riguarda l’alimentazione del sistema baronale possiamo affermare tranquillamente che i quiz a crocette non aiutano a combatterlo, per la loro facilità di suggerimento o di copia rendono difficile stabilire un criterio totalmente neutro di selezione, questo senza prendere in considerazione la parte delle correzioni. Con un colloquio sarebbe più difficile favorire un determinato candidato. Vero è che buoni docenti fanno una buona università e una migliore selezione va a favore di un buon sistema universitario>>.

Quello che manca allora è una riforma ma è possibile ipotizzare di modificare la scuola superiore prima di mettere mano al complesso sistema universitario? <<Il nostro è un buon sistema scolastico. – Spiega Alessandra – Prepara bene dal punto di vista delle materie umanistiche. Una riforma dovrebbe essere in grado di dare più importanza alle materie tecniche. Bisogna intanto sradicare l’idea che esistano scuole di serie B. Le esigenze degli istituti tecnici sono diversi rispetto ai licei. In Italia ci siamo dimenticati dell’internazionalizzazione. Questo manca rispetto agli altri licei d’Europa, ci mancano le materie più internazionali come le lingue, le moderne scienze politiche o una preparazione giuridica economica di base, materie che si arriva a studiare purtroppo solo all’università>>.

 

Giorgio Uberti



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