21 settembre 2010

DI PONTE IN PONTE DEGRADA LA CITTÀ


 

Sul Viale De Gasperi, che porta all’inizio dell’autostrada di Viale Certosa, in questi ultimi anni sono stati costruiti, uno vicino all’altro, tre ponti: due pedonali e uno automobilistico, tutti diversi fra loro e uno più discutibile dell’altro; giacché rappresentano un desolante decrescendo di qualità estetica e di razionalità costruttiva.

* Il primo ponte è il più serio e discreto: una passerella che collega le pendici del Monte Stella con il quartiere compreso fra Viale De Gasperi e Viale Certosa: una leggera struttura dall’aspetto non offensivo, che tuttavia solleva un dubbio, perché una sua metà si appoggia su piloni e l’altra metà è sospesa a cavi di acciaio. Non sarebbe stato più ordinato e unitario adottare una medesima soluzione statica? Non si sarebbe ottenuta una maggiore unità formale?

* Il secondo ponte, già meno felice, è il sovrappasso automobilistico posto dietro al Tiro a Segno Nazionale: un’enfatica e appariscente struttura in ferro, del tutto esagerata e invasiva, quando sarebbero bastate due alte travi metalliche a superare la distanza fra i due appoggi. Il sostegno del ponte è, al contrario, risolto mediante due archi in ferro, ai quali sono collegati i tubolari di sostegno delle corsie stradali. Avendo voluto, per mero gusto d’insulsa originalità, porre i due archi in posizione inclinata rispetto al piano orizzontale della strada, si creano nella struttura inutili tensioni diagonali che ne complicano, senza ragione comprensibile, il sistema di sforzi interni, e ne rendono più costosa la realizzazione.

* Il terzo ponte è la passerella che collega il nuovo giardino del Quartiere Portello con il Quartiere QT8. Qui la ricerca di originalità raggiunge il parossismo: irrita l’incongruenza logica di elementi metallici dotati di dimensioni conformi a un uso strutturale, ma usati a semplice scopo decorativo. Enormi sproporzionati tubi in ferro si affiancano al piano di calpestio della passerella, all’altezza del parapetto; non hanno funzione portante, perché la struttura che sostiene la passerella si sviluppa tutta sotto il suo piano di calpestio; non rispondono a necessità di sicurezza perché ai lati della passerella corrono già due parapetti in rete metallica; non sono accessori secondari né accidentali perché il loro ingombro è tale e la loro dimensione è così grande da farli sembrare strutture portanti; inoltre la loro apparenza è così invadente da trasformarli nei principali elementi di attrazione visiva. Eppure l’insensatezza di questi elementi non si accontenta di imporre la loro ingombrante e inutile presenza, ma arriva anche a modellarli secondo pretenziose ed esotiche forme: a metà lunghezza del ponte i grossi tubi di acciaio si drizzano in alto e si riuniscono in un vertice rialzato che ricorda gli angoli curvati nelle coperture di pagode cinesi. Il movimento dei grossi tubi convergenti avrebbe dovuto suggerire, nella mente del progettista, un tocco di leggerezza, un moto di eleganza: ricorda in realtà l’impacciato movimento di proboscidi sollevate da elefanti in un Circo Equestre.

La tendenza ad abusare di un linguaggio tecnologico è ormai diffusa e dominante nelle architetture di tutto il mondo. Lo dimostra, anche qui a Milano, la pleonastica struttura del sovrappasso in Piazza Maggi, alla partenza dell’autostrada per Genova.

Ma nel caso della passerella del Quartiere QT8 si è superata la deplorevole enfasi della struttura; e si è arrivati, anzi precipitati, nella comicità delle forme; anzi nell’ignoranza progettuale; come si legge nelle infelici saldature dei grossi tubi di ferro da cui è formata la struttura. Non occorre essere esperti di carpenteria metallica per sapere che la congiunzione di due tubi, non allineati ma ortogonali, crea notevoli difficoltà costruttive, giacché richiede di far combaciare due sezioni curve contrapposte; la linea di saldatura risulta inevitabilmente imprecisa, poco nitida, imperfetta. Tanto è vero che i bravi progettisti evitano di accostare due elementi cilindrici perpendicolari fra loro, e di unirli direttamente l’uno all’altro, ma interpongono fra i due un terzo elemento, con funzione di raccordo, un distanziatore che aiuti a risolvere la difficoltà esecutiva della saldatura.

Non vi è altro da aggiungere né da commentare scorrendo gli esempi, così poco edificanti, delle infrastrutture urbane. Si spera che i criteri di una buona arte del costruire tornino presto a illuminare i futuri progettisti della nostra città.

 

Jacopo Gardella


 



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