21 settembre 2010

QUANDO LE PERIFERIE FANNO COMODO


 

Periferia: dal greco peri e pherein, letteralmente portare intorno, quindi quello che sta intorno. Nel caso specifico intorno alla città. Immancabili, come le tasse e le suocere che telefonano all’ora di cena, tornano di moda, nelle calde giornate di agosto quando le notizie serie scarseggiano come il fresco o quando la tenzone elettorale si avvicina, le periferie. Per gran parte dell’anno rimangono lì, sullo sfondo tremolante e giallognolo della cappa di smog, poi d’un tratto si accende un campanello ed ecco che dalla maggioranza all’opposizione, dagli urbanisti ai sociologi, tutti si ricordano che le nostre grandi (?) città hanno il problema delle periferie.

Tema caldo, dicevamo, da campagna elettorale. Ma non solo. Questa volta ha cominciato Alemanno, il sindaco di Roma, in trasferta a Cortina: “È necessario avere il coraggio di dare nuova dignità urbanistica alle periferie, intervenendo anche con un’operazione di demolizione e ricostruzione”. Il riferimento è al quartiere di Tor Bella Monaca. A Milano Letizia Moratti rilancia: “Ci sono situazioni che potrebbero richiedere interventi di questo tipo, le stiamo esaminando con gli assessori competenti”. E intanto al Giambellino il Cerutti Gino di gaberiana memoria fa gli scongiuri.

Ha chiosato il tutto Sandro Bondi, parlando delle periferie “senza volto e anima che generano disagio sociale e povertà” per le quali bisogna “avviare una grande politica nazionale di recupero”. Armiamoci e partite. Il rischio di dire banalità parlando di questo tema è forte e non vi si sottrae nemmeno Stefano Boeri, che, svestiti i panni troppo intellettuali dell’architetto e indossati quelli del politico candidato sindaco ha ricordato che: “È imbarazzante che una città come Milano che ha meno di 1,5 milioni di persone abbia perso il polso della vita dei cittadini. È impensabile che esistano diritti basilari non riconosciuti, che chi ha il coraggio di denunciare l’illegalità rischi, che le scuole chiudano”.

E ancora: “Dobbiamo ribaltare il modo in cui è stata governata questa città: in questi anni l’amministrazione ha perso il polso della vita dei cittadini. Il sindaco Moratti ha perso di vista quello che succedeva nei quartieri. Non ci s’inventa sindaco in cinque mesi, i cittadini non sono scemi, né vogliono farsi prendere in giro (che in greco si dice peripherein- che coincidenza! ndr). Non voglio fare una campagna sui rancori, il mio stile è un altro, io nelle periferie ci vado da sempre e non ho bisogno di tornarci a poche settimane dalla campagna elettorale”. In un incontro con Chiamparino poi spiega l’importanza del “rapporto con le periferie e il territorio agricolo, più o meno abbandonato, che le circonda”. E qui iniziamo a capire perché il Cerba si trova in pieno Parco Sud.

Anche Pisapia non le manda a dire: “La cosa più grave è che non c’è più nessun rapporto tra periferia e Comune”.

E dal Comune come si difendono? Il sindaco, a seguirne le rocambolesche avventure su Teleletizia, passa più tempo nei mercati e tra i dipendenti ATM, che a Palazzo Marino. De Corato ribadisce che non ha tempo per le chiacchiere, lui deve governare. Ogni commento mi pare superfluo.

Non voglio sottrarmi al rischio di banalizzare, ma proverò a ribaltare la questione. In un mio precedente articolo intitolato “Mitologia del Degrado” sostenevo che i fenomeni di degrado non sono necessariamente tipici delle periferie, dove al contrario si realizzano gli interventi più interessanti di riqualificazione urbana, partendo dalle aree dismesse delle grandi industrie. E poi non tutte le periferie sono il regno dei palazzoni e delle case popolari. Milano Due, Santa Giulia, la nuova Milano Fiori sono esempi in parte antitetici di come si possa vivere in luoghi esterni alla città, ma non per questo marginali. Sono consapevole che a citare Santa Giulia si entra in un terreno piuttosto “scivoloso”, ma va detto che l’idea iniziale era interessante.

Ci sono una retorica e una mitologia urbana che dipingono i quartieri del Giambellino, della Barona e di Quarto Oggiaro come zone malfamate, male abitate e a rischio di criminalità. Ganni Biondillo, architetto e giallista milanese così parla del “suo” Quarto Oggiaro: “Un quartiere ghetto ma non per la qualità della vita, ma perché prigioniero di pregiudizi e di cliché. È un quartiere che è molto cambiato: se avessi una figlia adolescente sarei più tranquillo se la sera uscisse a Quarto Oggiaro piuttosto che a Corso Como, strada centralissima ma ormai completamente in balia dello spaccio di cocaina. Molti milanesi potrebbero scoprire che proprio tra queste strade si vive in un’altra dimensione: ci si conosce tutti, come in un paese, ma in più si hanno i vantaggi della metropoli”.

Certo la carenza dei servizi sembra maggiore rispetto alle zone più centrali della città, ma il teorema delle periferie degradate non convince fino in fondo. Dice l’urbanista Marcello Vittorini: “Il vecchio discorso sull’antitesi fra città e periferia che identifica nella periferia tutto ciò che è marginale rispetto alla città non regge più: da un lato perché l’abitante delle periferie non è più un emarginato, ma rivendica la dignità del suo status di cittadino; dall’altro lato perché statisticamente la periferia, che prima rappresentava una piccola parte della città e si riduceva in borghi extra moenia, oggi rappresenta la maggior parte del sistema insediativo.”

Sullo stesso piano l’architetto Alberto Prina: “È un concetto vecchio quello di avere città che hanno un centro e una periferia: le città nella loro prefigurazione urbanistica futura dovranno essere policentriche… Non esiste una periferia e un centro, ma ci sono diversi centri, con immagini, identità e specializzazioni diverse”.

Inoltre in una realtà come quella milanese diventa difficile stabilire cosa è periferia e quali sono i suoi confini. Soprattutto nel nord Milano dove non c’è soluzione di continuità tra gli urbanizzati del capoluogo e quelli dei comuni contermini. Dove finisce la periferia di Milano e comincia il centro di Sesto San Giovanni? Alla città metropolitana –se mai verrà realizzata- l’ardua risposta.

E anche i sociologi la pensano allo stesso modo. In buona sostanza s’inizia a sostenere che la periferia intesa in senso urbanistico, come costruzione esterna alla città, e la periferia sociale intesa in termini di marginalità sociale che può essere estesa all’esterno o diffusa nei centri, appaiono talvolta collocate in aree non coincidenti. 

Detto questo non si può ignorare il fatto che in quei luoghi geografici che siamo soliti definire periferie vi siano problemi, ma tendono a essere sempre più gli stessi problemi che attanagliano il resto della città. Mancanza di servizi, traffico, il tema della sicurezza, riguardano Lambrate come Piazza della Repubblica, Niguarda come la zona Fiera.

Problemi e questioni che vanno affrontati in modo complessivo e non attraverso slogan preelettorali.

 

Pietro Cafiero



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