7 settembre 2010

BOERI PUO’ ESSERE IL NOSTRO MOURINHO


Conosco Stefano Boeri dagli anni ’70. Giovani ventenni avevamo fondato una squadra di calcio amatoriale che tutti i martedì sera (neve o pioggia o nebbia che fosse….) si allenava a Pioltello e tutti i sabati mattina aveva il suo campionato organizzato dalla “Unione Sportiva Acli” con squadre di CRAL aziendali. Eravamo tutti promettenti intellettuali. Aldo Grasso, attuale critico televisivo del Corriere della Sera era il più esperto “libero”; in mediana c’era Stefano Losurdo (oggi segretario generale dell’AGIS Lombardia); all’ala destra Matteo Selvini (oggi direttore di una Scuola di specializzazione in Terapia Familiare); in regia Maurizio Schmidt (attore, regista e fino a poco fa direttore della Civica Scuola Paolo Grassi); centravanti “modestamente” il sottoscritto.

Il gioco del calcio, come molti giochi di squadra, mette in evidenza il carattere delle persone. Stefano era una mezzala. Piedi buoni, testa alta, fiato. Era un piacere giocare con lui. Uno che giocava per la squadra e non per sé, uno che passava la palla, che interdiceva l’avversario, che rientrava. Se devo fare dei paragoni (che possono sembrare esagerati ma per dare l’idea del “tipo” di giocatore…) era una via di mezzo tra Tardelli e Dossena o (per dirla con un interista di oggi che a lui piacerebbe di più…) una sorta di capitan Zanetti.

Ho seguito Stefano in questi anni nelle sue avventure giornalistiche (la direzione di Domus prima e di Abitare poi) e in quelle urbanistiche. Ha acquisito esperienza, conoscenza internazionale, fama. Ha lavorato molto sul territorio, sulla socialità, sulle relazioni nei progetti e sulla partecipazione.

Non ha perso la generosità intellettuale e il cuore che ha sempre avuto. Per questo io sono convinto (e glielo dissi in tempi non sospetti) che lui sia una chance straordinaria per cambiare una politica arrivata ai suoi minimi termini in fatto di progetti, d’idee ma anche di gratuità.

Oggi molti storcono il naso sulla sua professione come se scendendo in campo ottenesse dei vantaggi (“conflitto d’interesse”). Forse non capiscono che lui sta mettendo a rischio un’intera carriera proprio nel momento in cui “cominciava a divertirsi”, ovvero poteva avere incarichi in tutto il mondo…Come ha subito detto, se sarà sindaco non sarà più architetto per diversi anni. Finalmente una persona che lavora in rete, che conosce il territorio, che investirà sulla partecipazione, che cercherà soluzioni vere e innovative ai problemi, nel vero spirito “milanese” che è quello di tirar su le maniche e fare, non aspettare che arrivi dall’assistenza pubblica la soluzione, o, peggio, girare lo sguardo da un’altra parte.

Chi ancora non lo conosce e non si è accorto di lui scoprirà la sua capacità di produrre pratiche e sinergie innovative. Presentando la sua candidatura ha detto “Se anche perdessi, l’importante è lasciare in regalo alla città delle buone pratiche e delle buone idee”. Mi ha ricordato un altro “perdente”: Giuseppe Dossetti, padre costituente. Nel 1956 Dossetti che stava già maturando il ritiro dalla politica, si candida a Sindaco nella “rossa” Bologna per la Democrazia Cristiana. La sua era una competizione “impossibile” ma il suo “Programma per il decentramento” con l’invenzione dei Consigli di Zona, condizionerà tutto il dibattito sulla partecipazione almeno per il ventennio successivo.

C’è una Milano democratica e aperta che ogni giorno costruisce “società” e che non trova nella politica un interlocutore serio. La sola scesa in campo di una persona appassionata, intelligente, attenta può farci sperare un cambiamento vero. Molte energie, saperi, vite, possono mettersi in gioco. Come dicono ogni tanto gli striscioni degli stadi “Stefano facci sognare…”.

Pier Vito Antoniazzi



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