12 luglio 2010

UN TAGLIO DOPO L’ALTRO E L’UNIVERSITÀ MUORE


 

La tempesta mediatica sui tagli a seguito dell’ultima finanziaria si sta rapidamente esaurendo mentre gli italiani iniziano a fare i conti nelle proprie tasche. Istruzione, trasporti, welfare locale, sanità e sicurezza; questi i settori più colpiti e i cui tagli si faranno sentire, specialmente sui cittadini della nostra città i quali si troveranno con 512 milioni di euro in meno nei prossimi due anni. Tra i tanti settori colpiti non manca, ancora una volta, quello dell’università e della ricerca. Quando, in molti dei paesi colpiti dalla crisi, si è deciso di investire in questo settore, il nostro Paese, come al solito in controtendenza, preferisce demolirlo. Per fare chiarezza, uscendo anche dalle solite critiche demagogiche e ideologiche, abbiamo incontrato Filippo Barberis, dottorando e responsabile Scuola e Università del Partito Democratico Metropolitano.

<<Questo taglio incide in maniera negativa sul Fondo del Finanziamento Ordinario con il quale si mantengono in vita le università. Questo fondo viene ridotto progressivamente fino al 2011 di quasi il 20%. Questa situazione renderà insostenibile per gli atenei anche la sola copertura delle spese per il personale e produrrà un buco calcolato attorno a un miliardo e 250 milioni di euro. Per capire di che cifra stiamo parlando basta pensare che gli stipendi del mondo universitario ammontano ora a 7 miliardi e 700 milioni di euro e questa finanziaria mette a disposizione poco più di sei miliardi>>. Questi dati sono facilmente reperibili dallo stesso sito del MIUR. <<Non voglio essere accusato di faziosità – prosegue Barberis – e mi piacerebbe qui citare Giuseppe Valditara, il relatore del PDL in Senato sulla riforma. Valditara ha detto che i tagli sono incomprensibili e metteranno gli atenei in ginocchio. Questo proprio per usare le espressioni dal presentatore del ddl in Senato appartenente alla maggioranza di governo>>.

Esattamente dove si faranno sentire in modo più incisivo i tagli? Filippo Barberis risponde con sicurezza: <<Intanto sugli stessi stipendi dei docenti, dei ricercatori e del personale tecnico amministrativo, quindi a tutte quelle figure che fanno funzionare gli atenei. Poi c’è un taglio al fondo di programmazione per lo sviluppo del sistema universitario, un azzeramento del fondo per l’edilizia e una riduzione del 25% sul fondo per le residenze universitarie. Un dato particolarmente allarmante consiste in una riduzione del 70% rispetto al 2009 del fondo integravo per il diritto allo studio universitario. Quest’ultimo dato comporterà una riduzione delle borse di studio da 73mila attuali alle 30mila nella migliore delle ipotesti, con un effetto netto di una riduzione di 45mila borse di studio. Questo fondo per il diritto allo studio viene finanziato per circa la metà da parte dello stato e l’altra metà dalle regioni, ai quali si aggiungono i fondi raccolti dalle tasse universitarie. In questo quadro finanziario, dove vengono fortemente ridotte le risorse alle regioni, avverrà un taglio lineare di 10 miliardi nei prossimi due anni ed è difficile pensare che le regioni potranno compensare questa tendenza. Il rischio è che nessuno paghi e che a rimetterci, anche in questo caso, siano gli studenti capaci e meritevoli ma privi di mezzi economici.>>.

Due anni fa è stata fatta una certa confusione tra la riforma Gelmini e i tagli Tremonti. Attualmente possiamo riassumere i provvedimenti legislativi sull’università a partire dalla legge 133/2008, la famigerata finanziaria di Tremonti, che prevede tagli continui alle Università fino al 2011. Seguita poi dal decreto Gelmini 180/2009 che conteneva i primi elementi di riforma e recupero di risorse provvisorie per reagire alle pesanti proteste, convertito poi in legge 1/2009; Il DDL Gelmini 1905/2009, ovvero la proposta completa di riforma della quale si discute, di rinvio in rinvio, attualmente in Senato e l’attuale legge 78 del 31 maggio 2010, la tristemente nota “Manovra Tremonti”, che prevede blocchi e riduzioni di stipendiali, soprattutto per le fasce più giovani di ricercatori. <<Questi tagli rientrano nel quadro complessivo delle richieste del ministro Tremonti – prosegue Filippo Barberis – di fronte ad un’esigenza di fare cassa per riuscire a recuperare le risorse perse con manovre come il taglio dell’ICI e i miliardi bruciati nel caso dell’Alitalia. Deve essere chiaro che le risorse sono state spostate per coprire questo bilancio. Il ministro Gelmini ha piegato le esigenze necessarie alla sopravvivenza del sistema universitario ai tagli richiesti da Tremonti facendo passare in secondo piano la centralità del rilancio del sistema universitario. Esattamente il contrario di ciò che avviene in Francia, in Germania o nei paesi scandinavi, dove per uscire dalla crisi si aumentano gli investimenti in scuola, università e ricerca perché si è compreso che il futuro economico dei paesi europei, come indica la strategia di Lisbona, sta nella capacità di muovere verso economie della conoscenza. Per finire tengo a precisare che un ulteriore emendamento passato in senato consentirebbe di scalare da una quota di finanziamento ordinario, assegnato in base alla qualità della didattica e della ricerca, dal 7% al 3% bloccando la capacità di rinnovamento delle risorse di sistema attraverso il blocco del turnover del 50% indifferenziato per tutti gli atenei.>>

Sconfortati da questi dati, guardiamo al futuro e proviamo a chiederci come si evolverà la situazione negli atenei per i prossimi tre anni. <<Se non si rientrerà – replica Barberis – non ci saranno le risorse per garantire il diritto alla studio e non ci sarà nemmeno un rilancio necessario e quindi sprofonderà la qualità media dell’università italiana rispetto a paesi europei o emergenti extra europei. Il nostro governo mostra una cecità, perché qui si gioca la forza e futuro del nostro sistema economico. Su questo il PD deve ribadire la centralità dei temi per lo sviluppo. Inoltre abbiamo anche dimostrato una difficoltà a coinvolgere i privati in investimenti sul sistema universitario>>.

A questo punto dovrebbe essere naturale aspettarsi una forte presa di coscienza da parte degli studenti. Le proteste legate al movimento dell'”onda” dovrebbero farci pensare all’arrivo di una nuova protesta di massa? <<Secondo me siamo molto lontani da una situazione simile perchè c’è un’apatia eccessivamente diffusa. Non manca certo l’indignazione ma in molti casi è seguita da rassegnazione e in questo clima spesso hanno più visibilità i movimenti più chiassosi ma non necessariamente efficaci. Questi dati non sono però in grado di interpretare in prospettiva futura quelle che sono le proposte necessarie per rilanciare l’università e garantire un livello essenziale di diritto allo studio e quella mobilità degli studenti che garantiscono un diritto essenziale anche per una valutazione dal basso degli atenei. Quello che manca è una chiara ed esplicita alleanza tra le forze che rappresentano gli studenti nelle istituzioni accademiche e gli studenti stessi. Non si protesta per difendere il presente, ma per difendere il futuro della nostra università>>.

Non è quindi solo una questione di essere contro o a favore delle riforme. E’ necessario costruire riforme valide. Tagliare per reinvestire meglio nel sistema universitario, non tagliare per spostare risorse altrove senza una visione unitaria. Le riforme dovrebbero premiare i migliori e responsabilizzare le autonomie in base agli obiettivi che vanno raggiunti, fissati e monitorati dal ministero e non tagliare a caso quando mancano le risorse o distribuire altrettanto casualmente quando si vuole investire.

 

Giorgio Uberti



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