5 luglio 2010

ELEZIONI: GLI INVISIBILI PER LA POLITICA


 

Quando si avvicinano le elezioni in una grande città come Milano tutte le forze politiche si danno un gran daffare a scovare circoli, associazioni, gruppi di cittadini organizzati, con i quali intrecciare alleanze e ai quali promettere ascolto in futuro. Insomma, molti per la prima volta hanno l’impressione di esistere, di contare perché brandisco uno dei simboli della democrazia: la scheda elettorale. Il voto, meglio se accompagnato da una preferenza, è il ghiotto bottino di tutti i candidati ma tra tutti i voti quelli ai quali i candidati mirano di più sono i voti degli incerti e di tutti quelli che non si sono recati al seggio, chi avendo scelto di non scegliere, chi non sapendo per chi votare, chi per totale indifferenza e sostanziale sfiducia sul peso reale del suo voto.

Ma c’è una parte di cittadini che nessuno riesce a raggiungere e i cui problemi dovrebbero rientrare nell’agenda della classe politica: sono gli invisibili. Ma quanti sono e soprattutto chi sono? Vogliamo per il momento occuparci solo dei cittadini italiani aventi diritto al voto, ben sapendo che non sono che una parte soltanto degli invisibili come i Rom, gli extracomunitari, i comunitari non residenti e in situazioni precarie. Cominciamo con quelli che una volta chiamavamo “barboni” e che adesso con più stile chiamiamo gli home-less, la cui schiera si è allungata perché sono stati raggiunti da tutti gli sfortunati che sono riusciti a mettere insieme magari due disavventure: la perdita del posto di lavoro e una separazione coniugale. Poi ci sono tutti i cittadini spinti comunque ai margini e che pur avendo un tetto sulla testa, magari per la benevolenza di qualche parente, si rintanano e non vogliono farsi vedere.

Non ultimo chi vive solo per alimentare i propri vizi, dalla droga all’alcool e non possiamo certo trascurare i malati che il servizio sanitario nazionale per una ragione o per l’altra respinge o lascia in condizioni di abbandono e che senza l’assistenza di qualche parente non possono vivere una vita civile anche se penosa. Per finire i carcerati, quelli che hanno perso i diritti civili come il voto o perché la condanna che scontano lo prevede o perché i meccanismi della burocrazia rendono difficile l’esercizio del diritto di voto. Della condizione di questi ultimi si occupa il nostro giornale, parlando di una realtà, quella del carcere di Bollate che vede l’impegno di molti cittadini milanesi per rendere meno penosa la condizione del carcerato.

E’ pensando a tutta questa gente e ai suoi problemi e confrontandoli con il politichese spesso vuoto di tanti candidati o ancora peggio pensando a come occupino il loro tempo tra comparsate televisive e trattative più o meno palesi per assicurarsi manciate di voti, che misuriamo la distanza che li separa dal Paese e l’abisso che li separa dagli invisibili. Nella giostra delle dichiarazioni elettorali dei programmi usa e getta la locuzione “politiche sociali” si spreca ma raramente la sentiamo resa comprensibile nei suoi contenuti e resa credibile dal concatenarsi di tre indicazioni essenziali: cosa fare, con quali alleanze, con quali risorse. Sono i tre vertici del triangolo che racchiude la vera politica, il resto sono chiacchiere.

LBG


 



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