5 luglio 2010

BOLLATE: UN ANGOLO DI SVEZIA OLTRE LE SBARRE


La Svezia non è lontana. È a due chilometri da Milano. È una fetta di città che la città ignora. Si tratta della II Casa di reclusione di Milano-Bollate: un esempio di civiltà. Già dall’arrivo si fatica a comprendere di essere di fronte a un istituto di pena. L’edificio che ospita gli uffici del penitenziario, con le sue finestre di diversi colori, impedisce di scorgere le imponenti mura di cinta tipiche di un carcere. All’interno, le pareti decorate dai dipinti dei detenuti confermano l’impressione di trovarsi in una prigione diversa dalle altre.

C’è una frase che ricorre spesso tra gli agenti di polizia penitenziaria in servizio a Bollate per descrivere la particolarità di questa struttura: “È un carcere autogestito dai detenuti”. Gli impianti elettrici, i contenuti dei periodici “Salute inGrata” e “carteBollate”, la manutenzione dell’orto e del maneggio, l’attività dei tre call-center e della zona industriale, le scuole e l’università, tutto quello che avviene tra le mura del carcere è frutto del lavoro e della cooperazione tra detenuti, volontari esterni e personale del penitenziario.

Non è comune trovarsi in una prigione e respirare un clima disteso, quasi amichevole, tra guardie e carcerati. Eppure Bollate dimostra che è possibile. Come è possibile che siano i detenuti a gestire lo sportello salute, per informare e aggiornare i propri compagni, o lo sportello giudiziario, che grazie alla supervisione del costituzionalista Valerio Onida e all’aiuto di tanti avvocati in pensione o volontari in attività, consente di garantire una tutela giudiziaria ai carcerati più indifesi.

Le graduatorie per la partecipazione alle attività lavorative e ricreative (il teatro, il cineforum, il servizio bibliotecario) consentono la speranza, grazie ai continui contatti con l’esterno: i siti e la distribuzione delle riviste, il lavoro del servizio catering che può operare anche per eventi organizzati fuori dal carcere, i prodotti del lavoro dei detenuti che vanno sulle bancarelle dei mercati milanesi. A Bollate c’è chi si diploma, chi si laurea, chi impara un mestiere. Dietro queste sbarre esiste l’opportunità di evadere dalla propria condizione, sfruttando occasioni che il carcere, nel pieno rispetto della legge, si assume la responsabilità di creare, riuscendo nell’impresa di dare un significato costruttivo alla pena.

L’Istituto si preoccupa di dare il maggior numero di certezze a chi, a pena finita, dovrà nuovamente fare i conti con la realtà del mondo esterno. Il lavoro di tutti gli operatori è teso alla restituzione alla vita sociale di persone in grado di confrontarsi con le regole della legalità e della convivenza civile. Non è un caso che Milano-Bollate faccia registrare un tasso di recidiva del 16%, contro una media nazionale del 70%.

Tra i 1053 detenuti della II Casa di Reclusione di Milano sono tante le storie che varrebbe la pena di raccontare. Esempi di un autentico riscatto sociale e personale iniziato nel momento della privazione della propria libertà.

Su tutte le copertine di “Salute inGrata”, il cui caporedattore è Renato Vallanzasca, campeggia il motto “il Fuori si accorga che il Dentro è una sua parte”: mai come in questo caso, Milano deve essere orgogliosa di avere al proprio interno tanta ricchezza. È giusto evitare che il Fuori si dimentichi di una parte così importante di sé.

Giovanni Zanchi



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