5 luglio 2010

DURA LEX, CARA LEX


La “misura” della qualità e dell’efficienza con cui viene amministrata la giustizia è uno degli indiscutibili parametri di riferimento con cui vengono stilate le classifiche che misurano i livelli di civiltà, di democrazia e di sviluppo economico sociale di una comunità o di un Paese. In questa classifica, purtroppo, l’Italia presente un trend in continua regressività, ed è ormai ampiamente superata non solo dai Paesi di lunga tradizione democratica, ma anche da molti dei così detti Paesi emergenti o in via sviluppo.

Eppure questo fattore critico di successo civile ed economico è rimasto estraneo alle agende delle due importanti “adunate milanesi” di questa terza settimana di giugno: quella dell’assemblea degli imprenditori lombardi e quella degli “autoconvocati dal Corriere” per dare nuovi stimoli al sindaco imprenditore più che mai ricandidato a continuare a non governare Milano. A questa mancanza, ci ha però pensato il Club Porto Franco, che ha saputo mettere insieme nei locali del milanesissimo Circolo De Amicis, un parterre di lusso, per evidenziare con serenità ma con assoluta fermezza i tanti guai della giustizia italiana e di quella milanese in particolare.

Giuliano Pisapia, già Presidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati e coautore col giudice Nordio del saggio ” In attesa di giustizia”, Paolo Giuggioli il proattivo presidente dell’Ordine degli Avvocati milanesi, Claudio Castelli, magistrato responsabile del processo di innovazione del Tribunale di Milano, con l’onere di tentare di organizzare in modo più efficiente la macchina giudiziaria di Milano sono stati i “discussant”. Con loro, non certo a caso, visto il titolo, Antonello Ciotti, manager di una multinazionale globalizzata che senza perifrasi ha illustrato quanto sia già “Caro ed Amaro” per la competitività dell’Italia e di Milano, l’assoluta incapacità di garantire una giustizia giusta ed efficiente, in linea con quella degli altri Paesi; la mala gestione della giustizia nella globalizzazione discrimina e sottrae potenzialità competitiva.

Infatti la competitività di una società si misura con la sua capacità e la sua possibilità di crescita nel lungo periodo, e tra i fattori strategici per competere un ruolo via via crescente è assunto dalla funzionalità e dalla trasparenza delle Pubbliche Amministrazioni, all’interno delle quali il modo di amministrare la giustizia è un fondamentale fattore critico di successo, indispensabile per sviluppare la crescita civile, sociale ed economica delle comunità. La provocazione introduttiva, di Franco D’Alfonso, presidente di Porto Franco, ha orientato il dibattito evitando che si addentrasse nel fuorviante cortocircuito in cui viene ricondotta la giustizia in Italia, nello scenario mediatico e politico: lo scenario delle leggi “ad personam”, le leggi-feticcio per favorevoli e contrari, le intercettazioni telefoniche, che purtroppo hanno poco a che fare con i veri problemi che affliggono, in materia di giustizia, i cittadini italiani.

Giuliano Pisapia, rifuggendo da ogni retorica, ha fornito una impressionante quanto drammatica serie di dati: dal sovraffollamento delle carceri, con il trend avviato al doppio della capienza; un sovraffollamento che si caratterizza: per gli oltre 4000 detenuti con pena inferiore ai due anni, per l’elevato numero di tossicodipendenti; e che ogni hanno passano dal carcere oltre centosettantamila persone per restarci non più di tre giorni, e che ogni detenuto costa allo Stato e quindi “Cara” per tutti coloro che pagano le tasse: 170 € al giorno per detenuto. Una giustizia anche “Dura” per la sproporzione dei tempi che impone ai cittadini: un’attesa media per processo di 5 anni: dovuta in larga misura a problemi di natura logistica (indisponibilità di aule) e alle inefficienze nei processi di notifica (omesse o errate) per quanto concerne il penale, mentre per il civile il tempo medio è di due anni. Una giustizia “Dura” per l’inadeguata qualità di molte delle sue decisioni, per l’impressionante numero di processi prescritti (350.000), che per ben tre quarti avviene durante le indagini preliminari; insomma un quadro che evidenzia quanto gli italiani e i milanesi continuino a essere inattesa di giustizia.

Eppure quasi duecento cinquant’anni fa, un “illuminato” avvocato milanese, tal Cesare Beccaria, diede alle stampe il suo saggi/opuscolo ” dei delitti e delle pene”, evidenziando sia al Paese che all’Europa il problema della “Giustizia Giusta”, ovvero della strategicità della prontezza della pena, ” in quanto l’associazione del delitto alla pena è più forte nell’animo umano, in quanto fa comprendere più direttamente la relazione di causa ed effetto dei due concetti”.

Sono passati duecento cinquant’anni e per molti versi, l’avvocato Beccaria sarebbe più che mai attuale, soprattutto in un Paese, dove a differenza degli altri in Europa e non solo, all’etica del rispetto delle istituzioni e delle sue leggi si antepone l’ossequio o il diniego alla temporalità dei governi, confortati in questo dal consolidarsi del potere contrattuale dell’intricato sistema delle corporazioni con cui è più conveniente identificarsi. E non sarà certo un caso che i due ultimi Ministri di Grazia e Giustizia siano espressione politica di due territori, quali la Campania e la Sicilia, in cui l’eticità del rapporto di fiducia e di rispetto nei confronti delle istituzioni è diffusamente ai minimi termini.

Non ci rimane quindi che rassegnarci ? o ricorrere alla Mazziniana evocazione che quando serve bisogna incoraggiare il “vento liberatore”? Il contributo di Giuggioli e Castelli hanno cercato di far intravvedere quel “eppur si muove” che potrebbe trasformarsi in potenziale alito di incoraggiamento rivolto a chi è ancora depositario di ciò che rimane della cultura riformista e solidale di Milano. Giuggioli e Castelli hanno convenuto sulla piaga delle improduttività sistematiche che appesantiscono l’intero “percorso della giustizia” e che sono più che mai note; tra queste merita sicuramente una nota di evidenza la ripartizione delle funzioni e delle attività tra i 50.000 addetti alle dipendenze del ministero. Mentre sono diffuse le carenze di organico tra le guardie carcerarie, le cancellerie e i magistrati, una diversa e più professionale gestione delle notifiche e che nell’emergenza attuale, i magistrati siano impegnati a esercitare esclusivamente la loro “mission” originale, ovvero funzioni e operatività finalizzate al recupero di quella giusta efficienza che tutti i cittadini invocano e pretendono.

Nonostante la provocazione di Mario Artali, di approfondire le discordie tra il magistrato Castelli e gli altri intervenuti sulla necessità di separare o no le carriere, tra magistratura inquirente e magistratura giudicante, il dibattito ha preferito privilegiare ragioni e impegni per proseguire e accelerare l’impegno per una riorganizzazione del palazzo a Milano quale contributo allo sviluppo della comunità milanese e lombarda. Che possa essere messo in agenda una sorta di federalismo giudiziario milanese potrebbe essere un’idea promossa dal Presidente dell’Ordine e non certo disdegnata dall’auditorium, ma per realizzarla occorrerà ampliare la platea delle intelligenze e delle buone volontà della classe dirigente milanese per superare l’ignavia di un’arretrata cultura di intendere i problemi della giustizia in Italia.

Giuliano Pisapia, iscrivendosi al “concorso delle primarie” per la candidatura a Sindaco, potrebbe rappresentare un possibile punto di riferimento per una via milanese a una giustizia più giusta, per Porto Franco, la questione giustizia a Milano non finisce certo in archivio.

Beppe Merlo




Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti