28 giugno 2010

SINISTRA, PARTITI E SOCIETÀ CIVILE: SEPARATI IN CASA


 

Negli ultimi mesi sembra destinata a essere smentita l’opinione che Milano sia oramai una città inerte e sconsolata, rassegnata al suo lento, inesorabile declino. L’avvio della campagna elettorale per l’elezione del sindaco e del consiglio comunale ha riacceso la vecchia passione dei milanesi per la politica, e non c’è giornale che non ne prenda atto e persino non sponsorizzi – come il Corriere della Sera – il formarsi di gruppi di cittadini desiderosi, mi verrebbe da dire, di “scendere in campo”, se questa locuzione ormai non portasse drammaticamente a pensare a una persona sola: insomma questa gente c’è e soprattutto vuol farsi sentire.

Farsi sentire da chi? E con che tono? E qui iniziano i distinguo e con questo forse i dolori. I più duri sembrerebbero quelli che dei partiti politici, non quelli previsti succintamente dall’articolo 49 della Costituzione ma quelli esistenti, non vogliono proprio saperne e probabilmente hanno in mente come sbocco finale una lista civica; poi ci sono, e non sono pochi, quelli che vorrebbero fare da cinghia di trasmissione tra la società civile e i partiti esistenti nel tentativo di emendarli dalle loro stranote colpe e in qualche modo costringerli a un confronto rigeneratore; per finire troviamo quelli che tentano ancora disperatamente di lavorare per vie interne nei partiti magari collegati a qualcuno che sia o somigli a un leader di partito o, per meglio dire, a una corrente.

E i partiti? I partiti di fronte a questi appassionati della politica si dividono seccamente in due: da un lato estrema sinistra e Italia dei valori, convinti già di rappresentare la società civile e di non aver bisogno di nuovi rapporti e dall’altra il Pd, che resta pur sempre il primo partito di opposizione e che, apparentemente non sa bene cosa fare, come spesso gli accade. Di più, mano a mano che il governo Berlusconi si indebolisce per le sue nefandezze, e l’ultima vicenda Brancher non gli ha certo fatto bene così come le ultime vicende assessorili non hanno fatto bene alla Giunta milanese, mano a mano che insomma il nemico si indebolisce, il Pd sembra optare per la chiusura a nuovi rapporti con la società civile nella speranza della casta di poter vincere, forse giocando su un astensionismo più alto a destra: vincere per la debolezza dell’avversario.

La società civile in questo quadro non sembra essere messa bene a meno che non trovi un collante che le consenta di riunire le sue forze sparse raggiungendo forse quella massa critica che le consenta di contare realmente. La battaglia elettorale non è poi così ardua: si tratta di spostare 20.000 voti su circa 600.000 votanti e farli approdare al centro sinistra, eppure nella modestia di questi numeri si annidano molte insidie. Una di queste è la caratteristica tipica del voto di chi si oppone all’attuale maggioranza: essere in larga misura un voto di opinione e dunque per costoro la figura del candidato sindaco e dei futuri candidati in consiglio comunale ha peso. Per il centro destra il voto è ormai una sorta di atto di fede cieca: se il capo lo designa lo si vota, anche se in questo campo le cose non sembrano più andare lisce come un tempo. Per il centro sinistra dunque il candidato conta molto se non tutto e dunque ecco riemergere il solito problema del quale abbiamo già parlato.

E se nell’attesa di un candidato si cominciasse a parlare di un minimo di programma sul quale verificare un’ipotesi di future alleanze? Divisi si perde.

 

L.B.G.



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