28 giugno 2010

LE TRICOTOSEUSES PROSSIME VENTURE


 

C’ è un momento simbolico nella vita delle nazioni che segna il tramonto di una classe dirigente. Un motto, un piccolo evento, perfino un calembour, che a suo modo sintetizza quella particolare qualità dell’arroganza dei potenti che attesta la perdita del contatto con la realtà e la società. Che di tratti della brioche di Maria Antonietta o del pouf dei Poggiolini, ci si trova d’improvviso come esterrefatti, e al tempo stesso resi finalmente lucidi, di fronte ad un atteggiamento, a una battuta, a un comportamento, che attesta con l’insensibilità conclamata alle più elementari note di umanità e sensibilità, anche la fine di un percorso di potere.

A noi, italiani del 2010, è toccato il “fuori dal nostro yacht Nathan Falco non è più sereno”, il grido d’aquila di mamma Elisabetta Gregoraci che accusa il mondo di volere il male del piccolo infante di casa Briatore, avendolo privato del suo habitat primario: la cameretta bianca del Force Blue, la barca di famiglia sequestrata dalla Guardia di Finanza a La Spezia. Senza quella particolare luce filtrante dall’oblò, senza il profumo salmastro ingentilito dagli oli, senza i colori dorati della sua cartolina esistenziale, il povero Nathan è precipitato in un “vero incubo”, e a nulla valgono le coccole e i buffetti di mamma Elisabetta e di papà Flavio, maestro nel far apparire come vero quel che non è, fondamento essenziale di un talento di truffatore e bancarottiere ampiamente coltivato con successo.

Ora, credo sia difficile per chiunque sia sano di mente, e che, vivendo nel pieno della drammatica crisi mondiale, sia anche moderatamente cosciente dell’opportunità di non spargere il sale sulle ferite di quanti ne vengono duramente colpiti, non accusare il colpo. Non avvertire un sentimento duro, di pancia, di vera rabbia sociale, direi quasi se non fosse sentimento ormai troppo antico, di odio di classe. Il povero Nathan Falco, che già è gravato sotto il peso insostenibile di un nome da idioti, verrà così ricordato per essere stato eretto da mammà a emblema, momento topico, di una crisi morale irreversibile, com’è dichiaratamente tale quella particolare forma di distacco dal reale che fa sì che si dica “dio acceca chi vuol perdere….”.

Così alla povera Elisabetta, fresca di parto e circondata da mille e tali agi e lussi e confortevolezze che neanche una regina, non passa per nulla in capo che la sua condizione di assoluta privilegiata richieda uno stile un pochino meno clamoroso nelle pretese, e, sia dato, anche solo ipocritamente rispettoso delle faticose esistenze dei poveri mortali che a milioni può osservare dalle sue dimore, fisse o meno che siano alla terraferma. No, questo non basta, e neppure è più possibile antropologicamente a chi ormai si è convinta che esistano effettivamente due umanità, una che gode e una che lavora per far godere la prima. E neppure la invita alla prudenza la pur semplice considerazione che quello yacht è la materia prima su cui si è consumata una truffa milionaria ai danni dei contribuenti, sempre quei poveretti, uomini e donne, che per convenzione sociale, ma in cuor per diritto divino, devono non solo fornirla di ogni cosa, ma anche chinare il capo a ogni capriccio.

Non vi è prudenza per il semplice fatto che non vi è ormai più, nel delirio appropriativo della nostra classe dirigente, un confine spirituale tra modo e modo di divenire ricchi. Conta solo esserlo e il come non ha alcuna importanza, così del resto attesta a ogni istante la massima pedagoga del nostro tempo: la televisione. Qui si consuma, in questo distacco, che è ormai baratro morale, il dramma irriducibile di una classe che si misura e si pesa solo per la sua capacità di appropriare a sé ricchezze, visibilità, potere, aldifuori, sopra e contro, le regole che ha ereditato dal passato e di cui non sa più letteralmente che fare. Qui di riunisce in un sol disegno dantesco la strutturale immoralità dei redivivi boiardi di stato alla Balducci, della speculazione finanziaria più folle alla Goldmann $ Sachs, del demì monde surreale del televisivo all’appunto, Gregoraci, uniti strettamente l’uno all’altro nella pervicace pretesa di accumulare aldilà dei meriti, del contributo offerto alla società, e della fatica del lavoro.

E accumulando senza meriti, e anzi disinvoltamente truffando, vantandosene e pretendendo tutto per sé e senza vergogna, perché hanno proprio perso il punto di riferimento spirituale da cui nasce il senso di vergogna, e perché neppure ritengono necessario far mostra di esserne provvisti, tanto poco li riguarda l’indignazione altrui e tanto si ritengono al riparo da qualsiasi riprovazione sociale. Di questa classe, e di questo sentimento, Berlusconi è esempio eclatante, onnivoro nel mondo e mostruosamente amorale nel privato, sviluppando per imitazione nell’intorno comportamenti sempre meno difendibili, spingendosi in avanti a un punto tale nel suo delirio personalistico, da farsi rimbrottare dalla stessa amministrazione americana.

A questo punto, un solo interrogativo: trovata la nostra Maria Antonietta, dove sono le nostre Bastiglie e dove le nostre tricotoseuses? Dove quelle carissime e spietate donne del popolo parigino che, dopo aver accudito per secoli una classe nobiliare incapace di produrre alcunchè ma comunque capace di tutto per sequestrare con la ricchezza anche la vita degli altri, finalmente hanno passato gli ultimi anni della loro esistenza a vedere ruzzolare nei cesti le nobili teste, e, con queste, riccioli d’oro, fattezze tanto rifinite da divenire esauste, e sguardi altezzosi?

Non sappiamo, ma salteranno fuori. E non diteci nulla, non ricordateci che la follia del terrore giacobino non portò nulla di buono a chi pensava di giovarsene. Non ditecelo perché la Storia non ammaestra mai nessuno, chè avanza per dimenticanza e non per memoria, e il suo orologio ha ricominciato da tempo a misurare l’accumulazione di un rancore popolare che non potrà essere contenuto quando sarà venuto il suo tempo, quando cioè questa classe dirigente chiederà sempre di più a chi avrà sempre di meno.

Allora, alle Elisabette che reclameranno umanità e sensibilità, sarà fin troppo facile ricordare che ai tempi belli il loro bon mot era “Senza vergogna”.

 

Giuseppe Ucciero



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