21 giugno 2010

BANCHE E MATTONE: SALVARE TUTTI


 

È tempo di salvataggi. Non solo per i paesi a rischio di default, ma anche per le banche e per le grandi operazioni immobiliari. A ben guardare la questione bancaria e la questione immobiliare sono un po’ la stessa cosa, perché tutti le operazioni sono a credito, o meglio sono operazioni di leverage e ormai le banche sono il vero immobiliare collettivo del nostro tempo. L’intellettuale collettivo ci affascinava di più, ma bisogna adattarsi.

Nell’est Milano l’avventura Santa Monica (quella della “qualità insediativa d’eccellenza” e dell'”agora”, come dice il progettista) ha quasi mandato in fallimento una banca, Carife, che, esposta per 140 milioni, per salvarsi ha dovuto cedere una banca controllata oltre ad una società di leasing. Per la prima volta in 170 di storia ha poi chiuso il bilancio in rosso, 70 milioni, e non ha distribuito il dividendo. La Banca d’Italia ha praticamente imposto l’azzeramento dei vertici. I titolari del fondo immobiliare impantanati lì come in altre operazioni tra Milano e provincia, sono a caccia di nuova moneta. Non potendo più chiedere alle banche, non è proprio il caso, chiedono ancora ai comuni. Così arriveranno nuove volumetrie, cubi freschi, e le banche, al posto degli incagli, potranno inserire nei bilanci nuovi asset di dubbia certificazione. Nella speranza di trovare presto qualcuno che rilevi tutta l’operazione. Cosa non facile, ormai, perché anche gli sceicchi e i fondi sovrani non stanno troppo bene. L’alternativa è imbarcare un partner operativo, in grado di contenere i costi, di fare mercato, di costruire e di intortare i comuni.

Nel nord la notizia è il salvataggio delle aree Falck. Vedremo. Anche questa vicenda mostra come le grandi operazioni immobiliari, a un certo punto del loro sviluppo, devono trovare una stanza di compensazione. È la storia ultrasecolare della finanza nazionale e in sé non è niente di disprezzabile. Diversi sono i soggetti che in passato hanno svolto questo ruolo o che hanno coabitato nella posizione, la Bastogi, Mediobanca, ma anche altri. In tempi di crisi è però sempre più complicato trovare la stanza e l’uomo giusto. Massimo Ponzellini, ad esempio, si presta bene potendo giocare sul doppio ruolo, qualcuno lo chiama conflitto di interessi, in BPM e in Impregilo. Oppure Massimo Caputi che sembra davvero l’uomo del momento, anche se ha frenato sulla fusione della sua FIMIT con Pirelli RE.

Ma il punto vero è la natura dei beni che veicolano le grandi operazioni immobiliari, che sono e rimangono prima di tutti grandi operazioni finanziarie. L’economista giapponese Kobayashi sostiene “che attività come quella immobiliare agiscono oggi come mezzi di scambio grazie allo sviluppo dei mercati, ma sono incapaci di svolgere questa funzione nel corso di una crisi finanziaria”. Non c’è dubbio: finché il ciclo immobiliare è sostenuto i beni immobiliari funzionano come una specie di moneta di conto, destinata a rivalutarsi a ogni passaggio. Bisognerebbe capire quali conseguenze comporta il perseverare su questa strada anche nel pieno della crisi. Le aree Falck, ad esempio, sono passate di mano nel novembre del 2000 per 345 miliardi di lire, sono state cedute nel marzo del 2005 per 218 milioni di euro. Oggi, a due anni dallo scoppio della bolla, il prezzo di vendita è pattuito in 405 milioni, con una rivalutazione nel decennio del 230%, senza considerare che non sì è costruito ancora nulla e che Grossi e Zunino ci hanno già guadagnato qualcosa.

Rimangono poi aperte le questioni relative ai costi delle bonifiche e, visto l’andazzo non è cosa da poco, perché in questi casi le bonifiche stesse sono un pezzo del sistema di compensazione. Sarà interessante per capire la vera natura di questo genere di operazioni, seguire infine il comportamento delle banche, che per il momento sembra restino nella società veicolo con una a quota del 30% (secondo le notizie di stampa). Fino allo scoppio della crisi le banche finanziavano senza problemi e senza troppe garanzie, cioè con semplici crediti chirografari, e in genere non comparivano negli assetti proprietari. Oggi che le loro esposizioni sono molto distanti dal valore di mercato dei terreni, sono costrette a stare in prima persona nelle operazioni come elemento di garanzia, esternalizzando una parte dei crediti incagliati e con la speranza di liberarsi presto della zavorra.

Occorrerebbe una visione d’insieme del problema: i comuni, lasciati a se stessi non potranno fare molto di più di quello che fanno, e il loro comportamento aggregato avrà l’effetto non di far ripartire il mercato, come si spera, ma di ridare fiato alla speculazione immobiliare. Se si avesse il coraggio di avviare invece un intervento di sistema le direzioni potrebbero essere diverse e molto interessanti. Ne indichiamo solo alcune: disciplina del ruolo delle banche nelle operazioni immobiliari, nei fondi immobiliari speculativi, ecc.; considerazione dei costi di bonifica come parte integrante del valore intrinseco delle aree e non come variabile per creare volumetrie aggiuntive; impulso al mercato dell’affitto e alla realizzazione di alloggi a prezzi accessibili. In una recente intervista, Roberto Arletti, presidente di Assobeton, l’associazione degli industriali del cemento, sostiene la necessità di costruire alloggi da 1.000 euro al metro quadro per rilanciare il mercato. Non male, detto da uno del mestiere.

 

Mario De Gaspari



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