14 giugno 2010

PENSARE LA GLOBALIZZAZIONE, FARE L’EUROPA


 

Il mondo, dev’essere ancora interpretato? O può essere cambiato senz’essere interpretato? Il mondo, a dire il vero, può essere né cambiato né interpretato. Il mondo cambia da solo, se vuole, e va dove gli pare. Ma dove gli pare a lui non è detta che paia anche a me. Il mondo, poi, a dire il vero, non va proprio dove gli pare, va dove lo sospingono gli interessi o, come dicono, il libero mercato. Il libero (!) mercato, però, va contro la “sostanza umana”, ammoniva Polanyi. E a me, siccome credo che le cose grosso modo stiano così, cioè che il libero mercato rimpicciolisca e offenda la “sostanza umana”, non sta bene che il mondo vada dove vuole. Dovrebbero, quindi, quelli che la pensano come me, cercare di cambiare il cambiamento del mondo e fargli prendere un’altra strada.

Ma possiamo, insisto, cambiarlo senza interpretarlo? Cioè sforzarci di capirlo, di darcene una ragione e una rappresentazione, di raccontarlo in un qualche modo coerente? Gramsci chiamava l’azione rivoluzionaria del partito comunista filosofia della prassi, per indicare questo inscindibile composto, o meglio questa completa soluzione dell’una nell’altro, filosofia e prassi. La politica se non è laisse faire, se anela a guidare il cambiamento, deve assumersi la responsabilità di tentare di spiegarlo il mondo. Certo, ben sapendo che ogni interpretazione è provvisoria e anche arbitraria, ma questo è un altro discorso.

La politica del Partito Democratico sembra voler prescindere da una qualsiasi idea del mondo. Ma nello stesso tempo sembrerebbe nutrire una (vaga) intenzione e ambizione di cambiarlo! E’ per questo, a mio parere, che pesta acqua nel mortaio: non avendo un’idea, non ha un progetto, e perciò neppure una politica. Si domanda Dario Franceschini, avviando la relazione introduttiva all’assemblea di Area Democratica di Cortona: “Possono ancora riuscire i governi a dare una risposta a quella forte domanda di istituzioni sovranazionali capaci di dettare regole alla globalizzazione?” E poi aggiunge: “Ci si può rifugiare dentro i confini politici, in un mondo in cui non ci sono più i confini economici?”

Mi sembravano domande chiare e promettenti. Finalmente, mi son detto, si esce dal recinto della politica italiana e si coglie il legame che c’è tra il nostro agire “locale” e le forze che agiscono, e in modo quanto dirompente lo stiamo vedendo ora per ora, nello scenario globale. Niente, attesa delusa. Subito il leader di A. D. ricade nella solita minestra: berlusconismo, troppo, troppo poco… La crisi, parola che, ci rammenta lo stesso Franceschini, in greco vuol dire discontinuità e apre quindi a nuove opportunità, la crisi (greca?) è ancora lì e batte come furiosa tempesta anche contro di noi che ci siamo chiusi nelle nostre torpide abitudini. La crisi batte, ora qualcuno ne è allarmato: com’è possibile che osino (gli speculatori) sfidare la regione più ricca del mondo? Che minaccino di far saltare addirittura l’euro…

Ha ragione Franceschini, senza istituzioni sovranazionali, la globalizzazione rende liberi di spadroneggiare le grandi forze economiche. Il regime di (libero) mercato nazionale, che abbiamo avuto fino a vent’anni fa (e in parte ancora abbiamo), siamo riusciti in certa misura ad addomesticarlo, a contenerne la carica negativa, lesiva della “sostanza umana”. Questo finché era chiuso e custodito entro lo spazio giuridico, economico, culturale della Nazione e dello Stato-Nazione, ma ora il mercato è mondiale, globale e, “in un mondo in cui non ci sono confini economici”, è libero di imperversare, di ridurre in polvere l’opera iniziata dopo le due guerre mondiali, l’opera lenta e difficile del suo disciplinamento, Ora, nel nuovo mondo senza confini economici, il l. m. infuria selvaggio.

Di uno Stato forte non possiamo fare a meno. La modernità è stata innanzitutto la creazione dello Stato. Nazionale, forte e, col tempo, democratico. Lo Stato di diritto. Nell’era globale e in mancanza dello Stato Mondiale, abbiamo rivolto le nostre speranze all’Europa, alla creazione di un’entità sopranazionale che avesse la dimensione, i mezzi, la volontà di imporsi nell’epoca nuova. Chiedevo, qualche settimana fa, prima che si scatenasse questo secondo tempo della crisi, se il PD è un partito europeo, se lo è coerentemente e intimamente. Purtroppo, come si vede, non pare così e non dà segni, che almeno io veda, neppure ora che anche il cieco vedrebbe.

Essere europeisti, e non solo nella chiacchiera, sarebbe una vera rivoluzione, culturale e politica. Esigerebbe un nuovo paradigma e un nuovo programma di ricerca, per dirla con il linguaggio degli epistemologi. Il mondo, insomma, è profondamente cambiato, è ora più vasto e tremendo di prima: se noi non vogliamo esserne travolti, dobbiamo cercare di capirlo, osare di interpretarlo e, quindi, di inventare una politica che guardi più al nuovo in ascesa, anche se poco gradito, piuttosto che al vecchio più residuale, anche se più consolante.

 

Arturo Calaminici

 

 

 

 

 


 



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