8 giugno 2010

IL POLLICE VERDE DI LETIZIA MORATTI


Letizia Moratti non ha il pollice verde e quando ci si mette di mezzo lei le idee, come le piante in via Dante piuttosto che in piazza del Duomo, appassiscono ancor prima di essere piantate. Speriamo che i Raggi Verdi dalla molteplice paternità non seguano la stessa sorte. La ragione è che per lei come per molti altri amministratori milanesi il verde è una questione essenzialmente di contabilità: tanti metri quadrati, tanti abitanti, tante piante messe a dimora e soprattutto che i numeri siano più alti di quelli di altre città.

Ma c’è di più: una visione meramente utilitaristica, un po’ come quella che la maggior parte della gente ha per gli animali domestici. Il movimento animalista ci ha insegnato che gli animali vanno amati e rispettati in sé, come direbbe San Francesco, sono creature di Dio. Per le piante è un po’ la stessa cosa, a modo loro vanno amate per quello che sono e non solo per quello cui servono: ossigeno, refrigerio, ombra e panorama. Il problema si complica quando vogliamo inserire il verde nella città costruita soprattutto là dove non era previsto. In Piazza del Duomo c’era, come c’era il Piazza Cordusio e in molti altri luoghi della città. Chi lo ha tolto e perché? Ogni sito ha la sua storia ma il denominatore comune è la necessità di fare spazio a quello che si chiamava “progresso”: tram, servizi interrati, viabilità. Che ora si voglia fare marcia indietro dovrebbe insegnarci molte cose.

Oggi siamo al punto addirittura di voler mettere il verde dove proprio non c’era. Tutto è possibile. Nel ‘700 inglese Lancelot Brown detto Capability Brown per la sua capacità di superare ogni difficoltà, mentre era al servizio dei nobili e della corte, spianava colline, altre ne ergeva, faceva laghetti e torrentelli ma i tempi e i denari non son più quelli e poi aveva a disposizione la vasta campagna inglese. Noi ci muoviamo tra case, acquedotti, sottoservizi, parcheggi e ogni altra difficoltà – difficoltà che siamo andati a cercare per non avere previsto un uso pianificato del sottosuolo – e non abbiamo soldi da buttare. Allora ci vuole fantasia e una grande flessibilità progettuale da un lato e l’abbandonare la grandiosità e la magniloquenza dall’altra. Il progetto del verde nell’esistente deve ammettere dissimmetrie ragionevoli, accostamenti di essenze magari inusuali, profonda assimilazione del genius loci ricercato ovunque, il tutto unito da un amore al dettaglio e alla buona esecuzione che possono derivare solo e soltanto dall’accuratezza della progettazione. Solo così si possono superare le inevitabili difficoltà di collocare il verde nella città costruita. Ma questo non è quello che la sindaca Moratti riesce a chiedere ai suoi uomini e alla sua giunta o forse, il che è peggio, fa di testa sua.

Qualcuno forse ricorda ancora il film Il Giardino indiano, dove una non più giovane Deborah Ker si spegne pur di riportare all’antico splendore il suo giardino: quanta attenzione al dettaglio, quanto buon gusto, quanto vero amore per le piante. Il nostro sindaco invece va su YouTube (http://www.youtube.com/watch?v=YhYVSjulLAA) e si fa intervistare dall’ineffabile Red Ronnie per sciorinare la sua contabilità in una brutta (in tutti i sensi) intervista di pochi minuti. E’ di questo che dobbiamo accontentarci?

 

LBG


 



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