8 giugno 2010

LA GENTE DI CINA INCONTRA L’EXPO DI SHANGHAI


Vivere i giorni di apertura dell’Expo 2010 in una piccola città di provincia è un’esperienza interessante e molto utile ai fini della comprensione della reale condizione della società cinese. Qui l’Expo di respira più che nei grandi centri cittadini, l’intera provincia è infatti scossa da una vera e propria isteria. Slogan e manifesti coprono tutti i muri della città, le cerimonie di quartiere si ripetono ininterrottamente da più di tre mesi, le affollatissime riunioni universitarie esprimono il sentimento di una nazione in fermento. Il messaggio è decisamente chiaro, la provincia ha un ruolo fondamentale nella costruzione di una coscienza nazionale, deve partecipare all’Expo e fare bella figura. Il Quotidiano del Popolo (Renmin Ribao) ha espresso la sua sentenza: la partecipazione nazionale deve essere positiva, grande, forte. I cinesi si sentono sotto esame, al centro del mondo, osservati e studiati.

Allora è impossibile non notare i mille Haibao (mascotte dell’Expo) che adornano t-shirt, tazze e perfino bacchette. Per non parlare delle statue al centro di ogni piazza o delle imitazioni che si vendono ovunque, perfino nelle raffinate sale da the della via principale della città. Anche in classe rimaniamo sgomenti quando l’insegnante, alquanto imbarazzata, usa i simboli dell’Expo per spiegarci regole grammaticali e fonetiche mentre il direttore soddisfatto filma il tutto. L’orgoglio nazionale è così potente da coinvolgere persino i bambini della scuola elementare della città che da qualche mese stanno preparando una rappresentazione teatrale incentrata sugli obiettivi dell’Expo.

Dagli anni settanta, in seguito alle riforme promosse dal governo di Deng Xiaoping, la Cina ha vissuto un’enorme apertura commerciale con successivo ingresso di capitali stranieri e adesione alla logica di mercato occidentale. La folle corsa verso il capitalismo e la vera e propria febbre per la ricchezza hanno senza dubbio prodotto delle profonde ferite nel ventre di un Paese che è passato da un modello di società agricola a una capitalista, sempre più urbana, in meno di trent’anni. Di conseguenza, l’esigenza più pressante per la Cina di oggi è quella ambientale, soprattutto per quanto riguarda il difficile rapporto fra città e campagne. Almeno a livello di dichiarazione di intenti, la città è al centro del discorso “verde” di Shanghai 2010, presentata come laboratorio per la soluzione dei problemi dell’inquinamento, della mobilità regionale, del consumo sostenibile delle risorse. La qualità di vita offerta dal tessuto urbano, secondo la Cina, è la risposta ai problemi del nuovo millennio.

In questi giorni gli abitanti di Xi’an hanno partecipato a diversi eco-progetti per mostrare come il nuovo credo cinese sia una realtà possibile. L’Università, per esempio, ha organizzato una “Giornata dell’Ambiente”: centinaia di studenti si sono riuniti nel giardino principale recitando slogan verdi come “la città rende la tua vita migliore”, “aiuta il mondo a vivere in pace con te”. Le ragazze cinesi conosciute in campus mi hanno raccontato entusiaste dei nuovi corsi universitari sull’alimentazione sostenibile, il risparmio energetico e l’uso di materiali innovativi per la costruzione delle case popolari. Addirittura i fuochi d’artificio usati per celebrare l’apertura dell’Expo sono stati realizzati con polveri ecologiche inodori!

Questa neonata coscienza ambientale mi lascia comunque perplessa. Da “infiltrata” nella società cinese di provincia sono entrata in contatto con i diversi problemi strutturali della logica capitalistica cinese e ho imparato a riconoscere le falle nella retorica del “Pil verde” degli ultimi congressi del Partito. Sono scettica quando, ad esempio, per le vie della città incontro enormi cartelloni pagati dalle imprese di costruzioni che inneggiano a “giardini felici nel cuore della città”, oppure dichiarano “la mia casa è un eden incontaminato”, quando, oltre la recinzione, si ergono gru altissime, si sente nell’aria l’odore pungente della saldatrice e l’unico giardino è quello soffocato dal cemento della stessa impresa edilizia. E ancora, rimango scioccata dalla pedanteria delle regole ambientali di condominio, quando da ogni finestra dello stabile fuoriescono i bocchettoni dei molteplici condizionatori che sembrano smaterializzarsi nella nebbia chimica che respiriamo ogni giorno. Ancora non mi si crede quando racconto di un palazzo di tre piani costruito in un mese a spese del parchetto locale e della salute dei nongmingong (lavoratori stagionali provenienti dalle campagne).

Nonostante le profonde contraddizioni di questo Paese, la mia impressione rispetto ai principi proposti dall’Expo è positiva. La gente vuole farcela e s’impegna con un ardore a noi sconosciuto. La tv bombarda gli spettatori con immagini di volontari felici che annunciano: “Il mondo è davanti ai tuoi occhi, noi siamo al tuo fianco!” oppure “Il nostro lavoro è farti felice”. Sono moltissimi i manifesti per le strade che indicano la corretta postura quando ci si siede, che insegnano ai cinesi a fare la fila e a essere cortesi con gli stranieri e che proibiscono loro di sputare per terra (tipica abitudine). Per non parlare del numero telefonico “magico” che l’amministrazione cittadina ha istituito per aiutare gli stranieri a comunicare con i tassisti oppure delle frasi in inglese (come “This way please”, “May I help you?”) che lo spazio pubblicitario televisivo passa in continuazione. La città si fa bella e gli addetti comunali puliscono perfino i cestini della spazzatura. Sorprendentemente, compaiono anche i primi cassonetti per la raccolta differenziata.

Bisogna fare bella figura e Xi’an ci prova.

 

Sabrina Correale



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