24 maggio 2010

SCIABOLETTA SCAJOLA, GENERALE SFORTUNATO


Prologo

Napoleone, che s’intendeva di uomini e di battaglie, non perdonava ai suoi generali una sola cosa, la sfortuna.

Che questa non fosse una qualità personale, ma solo l’annuncio e l’esito di un’imperscrutabile e rovinoso destino non solo non cambiava il suo ferreo pre-giudizio, ma anzi lo rafforzava, che contro gli uomini qualcosa si può, ma contro il fato avverso assolutamente nulla.

Così gli uomini del Generàl non solo cercavano nello zainetto il bastone da maresciallo che aveva promesso loro, ma soprattutto cercavano di evitare con tutti i mezzi, se non le vicende negative, almeno la nomea.

 

Trama

Nel nostro tempo e nel nostro caso, Napoleone Berluscòn per la seconda volta si è risolto in questi ultimi giorni a cacciare dal suo sofferente accampamento uno dei suoi generali più famosi, forse uno dei più vanitosi, certo il più sfortunato, un paperino, insomma un vero sfigato della politica italiana.

Nell’ormai lontano 2002, la carriera dello Scajola si era già interrotta malamente per sopravvenuto colpo di sfiga, quando ciarlando con qualche amico giornalista (un ossimoro assoluto) aveva lasciato cadere un “e poi era un gran rompicoglioni”, riferendosi a un uomo di valore assassinato anche a causa della sua negligenza. Come se l’esserlo, e ammettiamo pure per assurdo che lo fosse, costituisse una scusante per chiamare a sé, a propria attenuante, la complicità di un fato che, sia pur maldestramente, una qualche opera di giustizia l’aveva alla fine pur fatta.

Sei lunghi anni, lontani dalla luce, di rancore, rabbia e cicoria a pranzo e cena, si era fatto il buon Scajola da Imperia, ridente cittadina di una Liguria fattrice prolifica di uomini dall’inquietante profilo: si ricorda in parte avversa, la sinistra nomea di un importante uomo politico locale, così potente che noi stessi ci limitiamo ad alluderne l’esistenza senza evocarne il nome.

Ma insomma, dopo tanto esilio, Sciaboletta Scajola ha ritrovato nello zainetto il suo bravo bastone e baldanzoso si è avviato verso quello che credeva un radioso destino.

Mal gliene incolse.

Era in agguato di nuovo, e temiamo ormai definitivamente, Monna Sfortuna, che lo guatava sordida da tempo, silente e in attesa del momento più favorevole, quello che fa più male, quando il sole è allo zenit e tutto pare ti sorrida. A dire il vero, Sciaboletta temeva il nuovo colpo e ultimamente si era fatto guardingo, le sottili labbra serrate, lo sguardo puntuto, attento a cogliere i pur minimi sintomi del suo male. Ma non poteva neppure immaginare cosa lo aspettava, ala truffa perfetta, nella forma, inarrivabile della truffa al contrario.

Quella incredibile, dannosissima truffa, per la quale la vittima innocente del raggiro invece di perdere si arricchisce, trovandosi il portafoglio gonfio anziché malinconicamente svuotato e proprio lui, Sciaboletta, primo nel mondo, doveva esserne vittima predestinata.

Così, per un’ispezione mirata ad altri fini (absit injuria verbis), cercando le prove di malversazioni della cricca abruzzese, viene fuori da un rapporto della Guardia di Finanza inviata dal roseo Giulio, il suo arcigno concorrente nel governo, che la sua bella casa al Colosseo non se l’è pagata lui, come tutti (quasi) i cristiani, ma un’anima buona che fingendo di far del bene, lo ha raggirato, e a sua insaputa, poveretto, ha messo nelle mani delle sorelle Papa (e poteva mancare anche questa per l’ultimo democristiano?) 80 begli assegnini non firmati da lui medesimo.

Ma cosa poteva farci il buon Sciaboletta, questo Paperino, anzi, per i soli intenditori, questo inarrivabile Paperoga, sono innocente dice, e ricorda bene, durante il rogito era solo andato a prendere un caffè: deve essere stato proprio in quei pochi minuti che gli hanno infarcito la borsa di assegni.

Che sfiga, ragazzi.

Una scena che neanche Monicelli e Risi messi assieme, e pare di vederlo veramente, il Totò – Zampolini armeggiare vorticosamente, tra doppi sensi, strizzatine d’occhi e “guardi ma non guardi”, con la borsa del Fabrizi – Scaiola, mentre questi, ingenuo e sorridente come un fanciullo di fronte alla vita, casca nel diabolico tranello.

Ma lui non lo sapeva, dice, sono una vittima della più fantastica truffa della storia, la truffa al contrario, che gli ha portato e non sottratto 900.000 euro.

Si era perfino convinto in quel lontano 2004 che questa sopravvenienza inspiegabile fosse alla fine solo, guarda un po’ come va il mondo, chiara dimostrazione del fatto che non solo la sfortuna l’aveva definitivamente mollato, ma addirittura gli restituiva attraverso la mano invisibile del mercato perfino i danni subiti dai suoi precedenti colpi.

Diavolo di un Adamo Smith!

Ma così non era, la sfiga mordeva di nuovo le sue caviglie, al punto che gli stessi giornali di Arcore, rabbiosi sicari a pagamento della famiglia proprietaria del Paese, l’hanno circondato, abbaiando e mordendo senza pietà, a loro volta.

Possiamo solo immaginare il tormento di un uomo che non ha esitato a mettere di mezzo l’onore intonso dei suoi familiari, l’ansia di un uomo di stato che, perduta la benevolenza della fortuna, si rivolgeva infine a chi tutto può, al fattore immobile che tutto muove, per chiedere aiuto, comprensione, pietà.

E questi, riconoscendo in lui, ma solo fin qui, un’assoluta somiglianza antropologica, gliela avrebbe pure accordata, solo che Napoleone Berluscòn tutto tollera tranne la sfiga, specie quando qualcuno se ne ammanta così doviziosamente da suscitare pena perfino tra gli avversari.

A nulla valsero allora lacrime, perfidie democristiane, ricordar di meriti passati, una sola cosa si diceva tra sé e sé Napoleon Berluscon: come posso fare argine a questo nero talento inarrivabile, come posso salvare me stesso, i miei cari, averi s’intende, l’accampamento, la felicità e un futuro ancora pieno di promesse? Così pensando, gli occhi si facevano sempre più piccoli e lontani, l’espressione indurita e indifferente, solo il sorriso meccanico rimaneva a falso testimone dell’amore ormai sfiorito.

Finalmente anche il buon Scajola capì, senza altre parole, che il suo destino era interamente giocato e che Monna Sfortuna aveva vinto il piatto su cui era posta l’intera sua vita.

 

Epilogo

Come si chiamava quel ministro, dirà fra pochi giorni il bugiardo di stato, che era così bravo e intelligente, ma anche così poco dotato nel circondarsi di avvenimenti propizi?

Era un nome un po’da sfigati, un nome assonante alla disgrazia, al fato malevolo: Scaloia? Azzarda qualcuno dei corifei sottovoce.

Macchè, ribatte seccato Napoleone Berluscòn: “il suo nome era, lo ricordo bene, diverso, qualcosa di più forte, sì, sì, ora ricordo bene, era Scalogna, una scalogna nera, perbacco, forte, pestifera, ammorbante, anzi sono certo faceva proprio Scalogna di cognome e Forte di nome: Forte Scalogna, poveretto”.

Così Forte Scalogna, l’ultimo democristiano, è caduto in battaglia, colpito e affondato da un destino cinico e baro: se n’è andato col petto in fuori, solo per un sospetto, chè era un uomo di Stato.

 

Giuseppe Ucciero



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