24 maggio 2010

AMBROSIANA E LEONARDO DA VINCI


Ho riflettuto a lungo sull’opportunità di scrivere un commento sulla manifestazione dedicata a Leonardo Da Vinci nella Veneranda Biblioteca Ambrosiana perché il luogo e le opere, che sono ospitate al massimo della qualità nella tradizione della storia di Milano e non solo, mi mettono in uno stato di soggezione. Avevo ascoltato alcuni commenti negativi sull’allestimento della mostra nella biblioteca Federiciana e in quegli spazi dedicati ad alcune opere pittoriche di Leonardo come il Musico e la Duchessa del Cardinale esposte a introdurre i disegni di architettura.

Avevo ascoltato altri commenti più benevoli di persone disposte a sorvolare su quel lento inesorabile modo di far scivolare verso il basso quella qualità che soltanto le idee buone, la tecnica, l’esperienza, la passione possono garantire per sostenere la comunicazione di reperti unici nel loro genere rivolti a un pubblico selezionato e attento. Ho voluto superare la ritrosia per i commenti altrui così discordi per capire come un’Istituzione così prestigiosa avesse affrontato un tema espositivo sempre difficile e delicato per la fragilità dei materiali (la pergamena) segnati da tratti sottili e da annotazioni composte da minuscoli caratteri.

Negli anni ’80, in occasione delle celebrazioni del genio di Leonardo, mi ero occupato al Castello Sforzesco dell’esposizione dei Disegni di Natura provenienti dalle raccolte della Regina d’Inghilterra esposti nella sala delle Asse. Questa esperienza mi aveva portato a non sottovalutare i due aspetti dominanti dell’esposizione: la fragilità dei materiali e la comunicazione. Il livello di illuminamento delle opere assai basso (max 60 lux) per proteggere la carta, avrebbe potuto mettere in serie difficoltà l’osservatore se non fosse stato introdotto, all’inizio del percorso, la spiegazione del comportamento degenerativo della carta esposta ai raggi della luce naturale e artificiale. Inoltre la progressiva diminuzione dell’intensità luminosa adottata prima di raggiungere le opere leonardesche aveva favorito in tempi brevi l’adattabilità dell’occhio umano alla semi oscurità.

Da allora molte ricerche e scoperte nel campo illuminotecnico hanno ampliato il raggio delle possibilità espositive scongiurando ogni possibile danno e mettendo in condizione il pubblico di vedere quanto è esposto.

L’esposizione attuale, semplificando la ricerca sui due temi dominanti, (sicurezza e comunicazione) tradisce un poco il ruolo di una grande istituzione che in quest’occasione avrebbe potuto mettere a fuoco un sistema espositivo più efficace ponendo l’accento sulle ricerche storico critiche del bel gruppo di studiosi che si sono occupati dei disegni di architettura come pure delle pitture. Assoluti capolavori sono banalmente esposti, quasi comparse di una scena logorata dalla stanchezza e dalla noia.

La parte grafica e didascalica pare inadeguata e spesso ingenua nel segnalare un percorso che conduce al ritratto del vecchio artista barbuto e troppo grande per essere relegato in un contesto che nulla ha a che fare con l’espressione di un pensiero intenso, immortale. La Biblioteca Federiciana con la sua architettura e la sua storia reggono la tensione emotiva al primo impatto; ma le immagini leonardesche, nella sequenza, sono poco leggibili, le architetture illuminate da luci discontinue e un po’ tremolanti trasmettono un disagio che non è compatibile con l’opera del genio assoluto che merita il meglio della sperimentazione, il meglio di tutto sempre.

 

Antonio Piva



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