24 maggio 2010

SCOMMESSE


Come ci hanno spiegato nel numero scorso Sara Bonanomi e Maria Cristina Paganoni, nelle loro corrispondenze da Shanghai, l’Italia sta cercando, anche all’Expo 2010, di costruire la solita immagine del Bel Paese esportatore delle quattro A: Abbigliamento, Alimentazione, Arredamento, Auto e motori. Ma mentre i nostri Brambilla sgomitano in terra cinese nell’economia reale, sopra di loro aleggia una minaccia permanente: quella della crisi finanziaria.

La crisi in cui ci troviamo è determinata dalle scommesse. Preferisco chiamarle così piuttosto che speculazione, perché si capisce meglio la storia. Si è scommesso sulle materie prime, sulle valute, sui tassi di interesse, sui crediti, su tutto. Quando la posta è molto alta, al di sopra delle disponibilità del banco (o della banca), può capitare che il banco (la banca) salti. Se alla roulette uno punta 1 milione su un numero ed esce l’en plein, se il banco non dispone di 35 milioni, salta. Per evitare questo, di solito si dà un limite alla puntata massima.

Queste scommesse, nella finanza moderna, si chiamano derivati. Qualche volta si chiamano diversamente, come nel caso dei mutui immobiliari in cui la scommessa era sulla crescita dei valori immobiliari: comunque si tratta pur sempre di giocate (derivati) su valori sottostanti da cui, appunto, derivano. Che in Borsa ci siano fenomeni di scommessa, è vero fin dalla sua nascita nell’Olanda del 1400. Era normale che un mercante con buone disponibilità di denaro comprasse del grano in eccesso, se prevedeva che ci sarebbe stato un clima cattivo che avrebbe fatto salire il prezzo del grano. Certo non poteva comprare più del grano esistente sul mercato. Anche qui c’era un problema di misura, di limite alla quantità, come nel gioco alla puntata. Quando la corsa all’acquisto eccede le quantità disponibili, nascono le bolle.

Dopo la bolla del 1929 si pensava di essere vaccinati, ma così non è stato. Prima ancora della bolla immobiliare scoppiata nel 2007 c’era stata quella della new economy, in cui bastava che un’azienda avesse a che fare con i bit invece che con gli atomi perché il suo valore andasse alle stelle. Dalla bolla della new economy, invece, non abbiamo imparato nulla, anzi. Abbiamo capito che le bolle sono un ottimo esercizio per fare quattrini a spese di qualcuno. E infatti non era ancora finito lo sgonfiamento della bolla della new economy che già si stava gonfiando quella immobiliare.

Che ci fosse in atto una bolla immobiliare, Robert Shiller lo disse chiaramente fin dal 2000 (v. Irrational Exuberance), ma la massa di persone che ci stava guadagnando sopra impedì che le autorità monetarie prendessero l’iniziativa di sgonfiare la bolla prima che scoppiasse. Anche i tassi bassi di Greenspan della Federal Reserve contribuivano al gonfiaggio.

E adesso? Stiamo forse rinsavendo? Stiamo mettendo argini perché questo non si verifichi più? Quali regole sono state poste sui derivati, che rappresentano una massa di 700.000 miliardi di euro (secondo Marco Onado) qualcosa come 12 volte il PIL mondiale (parlo di valori nozionali, certo più alti di quelli di mercato o di rischio in cui si compensano attivi e passivi, sempre che si compensino) e che si scambiano OTC (over the counter) cioè fuori mercato? Non dimentichiamo che prima di Clinton i contratti derivati restavano ai margini del mercato, perché considerati, giustamente, roba da scommesse, non da investimenti. Cosa ha infatti a che fare tutto questo con la funzione primaria della Borsa che è quella, dice lo stesso Shiller, “di dare liquidità agli investimenti, di finanziare gli imprenditori che si assumono rischi…” Assolutamente nulla o molto poco, se pensiamo che certe forme di derivati sono tutt’al più il surrogato di una polizza assicurativa (sui cambi, sulle materie prime). Il fatto è che troppa gente potente ci guadagna sopra e non ha nessuna voglia di veder limitati i propri guadagni. Chi fermerà questa ondata di scommesse evitando che il banco (le banche) salti?

All’orizzonte non si vede nessuno, data la debolezza di istituzioni di fonti nazionali contro fenomeni di portata globale, salvo Obama che ha promesso di intervenire. Riuscirà il nostro eroe, stremato dalla lotta per una sanità per tutti, a mettere in riga i finanziari, gli analisti, le società di rating, tutti prevalentemente in conflitto di interessi e assoggettare, ad esempio, i derivati, a regole di contrattazione tipiche del mercato finanziario evoluto oppure semplicemente a imporre che chi scommette depositi le somme a rischio?

Se questo non avverrà, i nostri Brambilla avranno un bello sgomitare per esportare a Shanghai, ma quando torneranno a casa troveranno la recessione da crisi finanziaria, falliti i loro subfornitori, l’euro svalutato dalle scommesse contro l’euro e penseranno che le loro fatiche sono state inutili.

 

Franco Morganti



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