24 maggio 2010

UN SINDACO DELLA CITTÀ NON DEI SALOTTI


La città, quella che va ancora a votare, sempre più scarna a guardare gli ultimi risultati, comincia a porsi il problema del nuovo sindaco, ossia delle elezioni del giugno 2011. Ci sono due zoccoli duri, uno di destra e uno di sinistra. Lo zoccolo di destra che forse vale il 40 % ha pochi problemi, sono geneticamente berlusconiani e aspettano solo il verbo del capo per recarsi alle urne. Nel centro destra ci sono, è vero, i finiani e altri scontenti ma siccome è una massa che vive un solo terrore, quello di non vedersi rinnovare posti e candidatura, eccoli ubbidienti anche nel segreto dell’urna. Per il centro sinistra il gioco è, come sempre, meno scontato: anche qui c’è uno zoccolo duro (40%) che pur di mandare a casa Berlusconi (o il sindaco Moratti) voterebbe chiunque ma essendo un elettorato più di opinione è possibile anche che storca la bocca e resti a casa di fronte ad un candidato poco schierato. Allora per il centro sinistra la battaglia è più ardua e si concentra tutta sulla scelta del candidato o della candidata sindaco e qui secondo me ci sono alcuni passaggi molto delicati e una premessa: l’opposizione, non solo a Milano, è stata generalmente considerata al di sotto delle aspettative per la rissosità, per la mancanza di uomini (nuovi), per la mancanza di un disegno, per l’estraneità alla gente e ai suoi problemi e per il modo scarsamente incisivo di fare opposizione. Insomma parte male. Veniamo ai passaggi delicati.

Il candidato/a unico.

Nelle passate elezioni la tecnica era quella che ogni partito presentasse un suo candidato, per valutare i pesi specifici, e poi al ballottaggio tutti, o quasi, convergevano sul candidato del partito che aveva raccolto il maggior numero di suffragi. Strategia perdente. Nelle prossime elezioni o la sinistra si mostra unita fin dal primo minuto o si rischia davvero di non arrivare nemmeno al ballottaggio.

La scelta del candidato/a. Gran parte degli interpellati informalmente si sono dichiarati per un candidato “laico”, fuori dai partiti. La ragione sta tutta nelle obiezioni appena fatte sui partiti e sul loro modo di fare opposizione. Si vorrebbe un candidato giovane (al massimo quarantacinquenne), con una qualche esperienza amministrativa, che buchi il video, dotato di un minimo di notorietà personale, magari cattolico progressista, senza un passato politicamente compromettente. L’opzione laica potrebbe cadere di fronte ad una candidatura che avesse tutte queste caratteristiche con l’aggiunta di una garanzia di notevole indipendenza dalle gerarchie di partito.

La squadra. Gran parte degli interpellati, tenuto conto che i pochi dei quali si son fatti i nomi, chi per una ragione chi per l’altra, non hanno dato la loro disponibilità, pensano a dar vita a una “squadra” (i futuri membri della giunta) che diano una sorta di connotato a un candidato che non c’è. Ma chi prende questa iniziativa? Ne ha l’autorevolezza? In accordo con i partiti, con la loro tacita benevolenza o in aperta ostilità? Si tratta forse del preludio a una “lista civica”? Oggi l’ipotesi di una lista civica sembra impraticabile.

La ricerca del candidato/a. Avere in mano la carta del candidato unico da parte dei partiti della attuale opposizione sarebbe un ottimo viatico e probabilmente indurrebbe qualche incerto a dire di sì, soprattutto se accompagnato dalla garanzia che, in caso di sconfitta, resterà comunque il capo dell’opposizione, cosa che non è mai successa. (Diciamo pure che il candidato sconfitto Fumagalli è scomparso forse nei meandri aziendali e il candidato sconfitto Ferrante dopo tanti tentennamenti è finito a fare da consulente a un immobiliarista e questo non gioca certo a favore dei candidati laici. A fare il candidato dell’opposizione neppure ci hanno provato e dunque ci vorrebbe una sorta di garanzia reciproca).

Primarie o no. Argomento tutto da discutere, fatte salve le norme statutarie, e solo nel caso (improbabile) di una messe di potenziali candidati per i quali vi fosse un confronto possibile. E’ chiaro oramai che le primarie hanno il fortissimo rischio di essere un’esercitazione di abilità organizzativa e spartitoria dei partiti. Se si vogliono fare, devono essere una vera consultazione aperta a tutti. Per concludere un sindaco della città, non dei salotti, ma proprio nemmeno dei salotti della politica.

Il programma. Punto dolente. Qualcuno dice che non serve a nulla, altri ci puntano molto. Una cosa è certa: il risultato minimo del programma è di unire i partiti sulle questioni essenziali e verificare se il candidato/a vi si riconosca tanto da buttare il cuore oltre l’ostacolo, o meglio oltre gli ostacoli.

Il finanziamento della campagna elettorale. I vecchi milanesi sanno a memoria un vecchio detto: “Metà paré metà dané”. Se i milanesi vogliono un sindaco che venga dalla città vera e non dai salotti ricchi deve mettere, per quello che può, mano al borsellino. Bisogna cominciare da subito a costituire un comitato elettorale con tanto di garanti, che raccolga i fondi necessari per un minimo di contrasto alla valanga di soldi altrui, un comitato che condizioni il versamento di questi denari a precise condizioni: cinque o sei punti essenziali del programma e l’impegno a restare in consiglio comunale come capo dell’opposizione.

 

 

Queste sono le ipotesi sulle quali mi piacerebbe aprire la discussione oltre a quello che questo giornale già ha fatto pubblicando una serie di articoli dedicati al problema “sindaco”. I nomi dei possibili candidati li troveremo, li stiamo cercando anche noi con voi.

 

Luca Beltrami Gadola



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