24 maggio 2010

RIFLESSIONE SULL’OMOSESSUALITÀ


È successo tutto in una sera. Nel giro di qualche ora. Cena e cinema- un classico. Ma mi hanno costretto a riflettere.

Come dicevo vado al ristorante con un’amica, in un ristorante dove fanno un ottimo pesce vicino a viale Tunisia. Ci sediamo a un tavolo di rimpetto a una lunga tavolata. Ordiniamo e dopo poco fa il loro ingresso la comitiva che prende posto vicino a noi. Saranno stati una quindicina di omosessuali. Gay, ricchioni, finocchi, che dir si voglia. I vocaboli in merito si sprecano. Sono molto su di giri. È il compleanno di uno di loro. Chiassosi, abbigliati in maniera molto bizzarra, ma soprattutto sboccati. Inizia un’epopea di allusioni esplicite, parolacce e volgarità gratuite. Si toccano, si baciano e tutto diventa una smorfia e una sboccataggine. Allora fa il suo ingresso un’altra coppia, che prende il posto di fianco a me e alla mia amica. Sono due anziani, semplici. Nessun gioiello lei, la barba incolta lui. Sembrano due simpatici vecchietti. Si siedono e fanno la loro ordinazione. Poi, come per noi, la serata finisce e rimane solo spazio per l’ampia tavolata arcobaleno. È la loro festa. Per altri non c’è spazio. Ingiustamente.

Per farmi sentire dalla mia amica devo urlare e un po’ mi sento in discoteca. Altro ambiente che non sopporto. Insomma, spero che la cena si esaurisca presto per andarmene. Il mio sguardo viaggia dai finocchi alla coppia di anziani. Non ne possono più. Soffrono a ogni volgarità detta dai vicini. Cadono in un imbarazzato silenzio di fastidio. Non è tutto, perché sembra anche che questa situazione sia gradita alla tavolata omosessuale. Come se si beassero degli sguardi d’insofferenza e di rimorso per un tempo lontano. Comincio a non capire una situazione che in partenza potrebbe apparire ovvia.

Finiamo di mangiare, paghiamo e ci avviamo al cinema (Arcobaleno, per ironia della sorte). Andiamo a vedere ‘Mine Vaganti’, l’ultimo di Ozpetek. Tratta di una ricca famiglia pugliese, padrona di un rinomato pastificio, che si trova a fronteggiare l’outing dei suoi due unici figli all’alba del passaggio di gestione ai medesimi. Il contrasto tra il pensiero buonista e borghese della vecchia generazione e le passioni e i sentimenti di quella nuova, che vuole sprovincializzarsi e abbandonare il nido per inseguire i sui sogni, è palese. L’unica fonte di comprensione arriva, paradossalmente, dalla nonna, promotrice dell’amore puro in tutte le sue forme. Trovo il film formidabile, per regia, recitazione e fotografia. Toccante oserei dire. Ma ne esco scombussolato. Scamarcio e Preziosi recitano la parte dei due omosessuali in maniera eccellente, ma     perché la trama abbia seguito, la loro tendenza sessuale ne esce minimale, sottoesposta e si guadagnano così anche la simpatia dello spettatore. Premetto prima di continuare nella mia riflessione che sono una persona tollerante, rispettosa e più lontana dall’omofobia di quante ne potreste incontrare. Possiedo molti amici intimi omosessuali che provano per me la reciproca stima.

Punto focale del nostro rapporto è la medesima concezione del termine di rispetto. Non sentono il bisogno di smanacciare, ridacchiare rumorosamente e di vestire magliettine attillate e di rinforzarsi il cavallo dei pantaloni. Semplicemente amano gli uomini. Nella maniera più pura e intensa possibile. E questo io non posso che ammirarlo, e invidiarlo. Non devono dimostrare nulla a nessuno se non l’affetto per il loro compagno. Come i personaggi del film. Come la lettera d’amore di Oscar Wilde dal carcere al suo amante che amo tanto leggere nei miei spettacoli di strada.

Ma posso capire l’indignazione per altri tipi di dimostrazioni. Come quelle a cui ho assistito a cena. Capisco gli sguardi di smarrimento della coppietta di anziani di fronte a quel gay pride di pessimo gusto inscenato nel ristorante. Lo capisco perché non ho provato nulla di meno se non una forte irritazione. Un’arrabbiatura incontenibile per lo smacco che quella tavolata ha arrecato all’intera categoria omosessuale. Mi sovvengono delle metafore.

In quella scena, mangiando uno squisito pesce (pesce sul quale qualche posto avanti le battute si sono sprecate), ho rivisto molte manifestazioni alle quali ho preso parte. Pochi personaggi sfasciano vetrine, ribaltano macchine, insultano la polizia in feroci scontri e improvvisamente la manifestazione viene bollata come violenta. A nessuno a quel punto interessano le altre centinaia di migliaia di manifestanti pacifici. La manifestazione è fallita.

Ho rivisto la rivoluzione femminista trasformarsi in un festival di sdoganamento ai più bassi istinti umani diventando la festa della troia. L’invenzione del ‘metodo velina’. Che danneggia l’immagine della popolazione femminile intera.

Ho rivisto delle minoranze rovinare l’immagine che si ha di splendide maggioranze. E questo fa male. Soffro per quei miei amici che non hanno nulla a che spartire con vergognosi gay pride.

Sono diversi, se questo termine vogliamo usare, e di questa diversità sono consapevoli. Non solo. La amano. Spassionatamente. La proteggono, la curano, ne fanno un vanto (un ‘pride’) e la loro forza. Si fanno amare come persone splendide, buone e appassionate e non permettono di venire bollati volgarmente come ‘ricchioni’. Non potrebbero sopportarlo. L’amore è bello, sempre, senza il bisogno di esagerare, di andare oltre. Chi lo vuole capire bene, chi no rimarrà della sua idea ma, a mio avviso, non farà che mascherare maldestramente un’invidia incontenibile per la bellezza di un sentimento. Viva chi protegge la propria identità e diversità! Il resto è cinema.

 

Giulio Rubinelli

 


 



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