24 maggio 2010

DA PAVIA A XI’AN


“Tutto il mondo è in vetrina all’Expo di Shanghai, manchi solo tu”. Così recita uno dei tanti slogan pubblicitari che le reti televisive cinesi passano con una frequenza inaudita fra telegiornali regionali e soap opera all’occidentale. Sì, lo ammetto, anche io ho ceduto alla tentazione e ho deciso di intraprendere il tanto agognato viaggio studio in Cina proprio in occasione di questo megaevento.

La mia avventura è iniziata circa tre mesi fa quando, ormai prossima al conseguimento della laurea magistrale, ho deciso di lasciare il borgo pavese per Xi’an, una “piccola” città di otto milioni di abitanti. Nella scelta della mia destinazione ho volontariamente evitato le splendenti e globalizzate megalopoli del futuro per adottare un punto di vista decentrato, un caleidoscopio che mi facesse scoprire la “vera” Cina, non l’immagine opaca del gigante economico che cerca di doppiare i tassi di sviluppo dell’ovest del mondo.

La provincia cinese di Xi’an è avvolta da un’atmosfera d’altri tempi. Ancora oggi camminando per strada incontro facce incuriosite che scrutano i miei tratti e ridono quando mi sentono parlare italiano, come se gli stranieri e la loro cultura fossero ancora qualcosa nuovo, insolito e bello e non riesco a spiegarmi come il centro del potere del nuovo millennio possa non essere ancora abituato all’ “altro”. Quella che vivo quotidianamente a Xi’an è la Cina dell’ossimoro che abbraccia ricchezza sfacciata e povertà senza soluzione di continuità. Camminando verso l’Università mi perdo fra simboli mistici di un’epoca lontana e mi rendo conto di quanto la vita alfabetica a cui sono abituata possa rivelarsi monotona e asettica. Incontro mercanti assonnati che sistemano i banchetti per il mercato rionale, mentre la fila dei risciò è ancora illuminata dalle corone di lanterne rosse. Passeggio e il profumo dei baozi (panini cinesi) appena sfornati non riesce a coprire l’odore acre delle ciminiere delle fabbriche occidentali che proliferano grazie alla manodopera cinese proveniente dalle campagne che per 50 euro mensili lavora ininterrottamente fino a notte fonda.

Spesso i sinologhi parlano di “sguardo alla cinese” per descrivere il particolare modo di gestire i rapporti interpersonali che il popolo cinese adotta nelle più svariate situazioni. La provincia cinese rappresenta, da questo punto di vista, un serbatoio infinito di esempi. Pochi giorni dopo il mio arrivo, sono fuggita dalle celle del dormitorio studentesco affidandomi a un’agenzia immobiliare per l’affitto di un appartamento. L’etichetta cinese ha imposto al mio agente immobiliare di diventarmi amico, consulente, salvatore. Dopo aver seguito tutte le pratiche burocratiche, si è impegnato a firmare il contratto internet a suo nome perché me l’aveva promesso e si è assicurato che il padrone di casa mi regalasse coperte, pentole e lavatrice. Qui la transazione economica non è un contratto ma un rapporto profondo, una stretta di mano che affonda le radici nella teoria delle relazioni: ci conosciamo, ci facciamo favori a vicenda e in ogni momento possiamo contare sul reciproco aiuto. Il mio stupore di fronte a questo modo di intendere il mercato lascia sempre perplessi i miei interlocutori cinesi per i quali è normale possedere una famiglia allargata di parenti, amici e clienti. Abituata come sono alla logica gretta e al cinismo del nostro mercato, ancora mi commuovo di fronte a tanta semplicità e gentilezza.

Xi’an è una città ancora legata al culto delle tradizioni lontane. La mattina presto, per le strade, si incontrano file interminabili di nonni che accompagnano i nipoti alla fermata del bus scolastico. Il rispetto e l’importanza accordati agli anziani è stupefacente e sono molte le politiche tese a rendere migliore il loro livello di vita. Nel campus, vero e proprio luogo di svago per grandi e piccoli, si incontrano frotte di signore anziane che, indipendentemente dalle condizioni meteorologiche, praticano ogni giorno il taichi. Oppure, nei curatissimi parchi nel cuore della città, intere aree sono dedicate ai balli di gruppo della domenica mattina. E ancora, non è raro trovare vecchietti intenti a incenerire soldi di carta agli angoli dei marciapiedi come offerta ai morti, magari vicino ai lavaggi auto o alle uscite dei numerosi KFC (Kentucky Fried Chicken, catena americana di fastfood).

Il contrasto così profondo fra l’immagine che la Cina al neon di Shanghai e Pechino vuole mostrare al mondo, soprattutto in concomitanza con l’Expo, e la timida e rugosa Cina che si scopre allontanandosi dal centro lascia sconcertati. Soprattutto, è piuttosto triste constatare quanto il popolo cinese delle scorse generazioni non sia per nulla integrato al moto propulsivo della globalizzazione e dell’apertura occidentale del Paese. Tuttavia, la febbre della modernità sta lentamente contagiando tutti gli strati sociali e quando mi sento chiamare “laowai” (straniera) dal vecchietto che gioca a mahjong sotto la mia finestra non mi sorprende scoprire che anche lui indossa scarpe Nike. La Cina che racconto è quella che brucia gli incensi nel tempio confuciano illuminato dalle insegne del vicino McDonald’s.

 

 

Sabrina Correale



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