10 maggio 2010

DANTE EVERGREEN


Al Teatro Parenti due nomi di spicco della filosofia italiana – Giovanni Reale e Massimo Cacciari (entrambi docenti alla Facoltà di Filosofia dell’Università Vita e Salute San Raffaele di Milano) – hanno intrattenuto una platea di giovani future matricole universitarie, provenienti da diversi licei e istituti superiori lombardi, in un incontro sul tema Inferno, Purgatorio e Paradiso per Dante. Subito confutata, in nome dell’attualità e degli aspetti universali ed europei del pensiero dantesco, la tesi di chi afferma che sia meglio non spiegare più i versi di Dante alle nuove generazioni di studenti, perché non serve e non può intercettare l’interesse di chi studia nel terzo millennio.

La lettura di Dante non solo è oggi riproponibile, ma la scuola non deve privare i giovani di quest’opera, che può colpire la loro immaginazione e affascinarli, anche se hanno perduto i riferimenti familiari al lettore medievale. E smentito anche il luogo comune che la cantica più bella sia l’Inferno: Reale e Cacciari concordano con Umberto Eco, ma anche con Thomas Eliot, che il primato di Cantica più bella va al Paradiso, che consente di comprendere il poema nel suo intero e di coglierne la vera dimensione di senso.

Dante grande visionario, che riesce a fare vedere ciò che lui ha visto e a rendere sensibile l’idea e a farcela sentire come qualcosa che interessa la nostra sensibilità; Dante poeta pensatore, che trasfigura in poesia i concetti, che fa capire che l’uomo – pur restando nella gabbia del pianeta – può guardare il cielo. Dante genio pensante, libero e originale pensatore, uomo ai ferri corti con il proprio tempo, che prende posizione in modo spietato contro i mali della Chiesa, che viene denunciato come eretico, che sceglie come ‘suo’ il santo laico borghese degli umanisti fiorentini, san Francesco, che lotta in prima persona per riformare la Chiesa. Dante che compie un viaggio intriso dal desiderio di purificazione, che interroga il reale e mette in campo sempre il dubbio, come motore per esprimere l’idea.

Dante che tanto si commuove davanti a Francesca, perché lui stesso è ancora implicato in modalità affettive simili alle sue, quelle di un amore chiuso, univoco, senza apertura e senza prospettiva, senza dono e senza trascendenza. Dante che colloca Ulisse all’Inferno, perché la sua è una conoscenza fatta di cupidigia, e non è congiunta all’amore, alla cura dell’altro, alla trascendenza, che soli possono dare legittimità al desiderio dell’uomo di varcare i limiti del sapere. Dante che scende tra ‘cani e porci’ e che racconta ciò che crede di aver visto e capito: da solo sarebbe rimasto nella selva, invece grazie alla divina provvidenza si scatena, si sprigiona e ha il dovere di raccontare, perché non c’è libertà che non sia liberare. L’uomo libero, sciolto dalle catene, non ha altro modo per esercitare la libertà che ri-donarla a sua volta, quasi a immagine del dono iniziale. Ecco perchè il prigioniero che sale verso la luce, coerentemente ritorna a liberare i compagni. Un atto politico ed etico di grande responsabilità, di denuncia di colpe ed errori, di impegno civile.

Una conversazione a tutto tondo sui temi della Comedìa dantesca che invita a ripensare e a predisporsi a nuova lettura dei versi del Poeta, non solo sui banchi di scuola, continuando a riconoscerne la genialità, l’intuizione e gli aspetti originali del pensiero e ad apprezzarne la grandezza di vate universale.

 

Rita Bramante


 



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