10 maggio 2010

SE QUATTRO ANNI VI SEMBRAN POCHI


La proposta da parte del Rettore dell’Università Bocconi di un accorciamento di un anno del periodo di ferma scolastica dei nostri giovani (da 19 a 18 anni) ha fatto per qualche giorno notizia anche sui nostri giornali, notoriamente propensi a occuparsi della scuola solo in occasione di notizie pruriginose.

E in effetti come pruriginosa questa notizia è stata trattata, quasi che l’idea fosse inedita. I cultori di cose scolastiche ricordano invece che ben due ministri della nostra Repubblica hanno provato a varare qualche ipotesi in proposito e precisamente i ministri Berlinguer e Moratti. L’uno cercò di accorciare la prima tranche di scuola (elementari e medie) da 8 a 7 anni. E mal gliene incolse, perché la cosiddetta “onda anomala” (di studenti e di insegnanti) che, a detta degli specialisti, si sarebbe in tal modo generata lo travolse, insieme con la bizzarra idea di diversificare le carriere e gli stipendi degli insegnanti. La scuola media si difese con le unghie e con i denti, temendo una “elementarizzazione” e i sindacati, sempre granitici nella difesa degli organici ovverossia dell’occupazione, ci misero del loro.

Moratti ci riprovò: compresa la temerarietà della linea precedente cercò di attaccare da un altro fronte, ipotizzando l’anticipo di scuola materna ed elementare. Anche Berlinguer ci aveva pensato, ricevendo un inaspettato no della galassia progressista che, in nome della difesa della fantasia infantile, dimenticò che la scolarizzazione anche precoce era sempre stata una bandiera di chi cercava di battersi per il decondizionamento sociale. Stesso risultato: niente da fare. Faceva decisamente premio uno dei paradigmi del dopoguerra: più scuola, più apprendimenti, più civiltà, più equità.

Oggi questo paradigma è appannato. E per questo anche i sindacati che l’hanno difeso più a lungo e continuano anacronisticamente a difenderlo, nella discussione, ad esempio, a proposito del taglio delle ore della cosiddetta Riforma Gelmini, su questo terreno sono apparsi più possibilisti. Tanto sarà difficile por mano di nuovo alla struttura della scuola superiore, visto che si sta molto faticosamente uscendo dalla sua appena varata razionalizzazione. E’ appannato per due ragioni. Le ricerche internazionali fra cui OCSE PISA, oggi di gran moda in Italia con un certo ritardo, hanno continuativamente dimostrato che non c’è rapporto diretto fra numero degli anni, dei giorni e delle ore di scuola e livello degli apprendimenti, almeno di quelli cruciali della prima lingua e di matematica-scienze. Ma poi anche dalle nostre aule del famoso quinto anno in discussione si leva un grido di dolore. Gli studenti dei professionali sottoposti ai regimi orari più duri (40 ore alla settimana), lungi dal decondizionarsi socialmente, si danno alle bigiate per migliorare le loro condizioni di vita. Gli insegnanti stessi, anche dei licei, si rendono conto in modo crescente della difficoltà di lavorare in un tale contesto.

Se la noia è l’atmosfera largamente prevalente in tutte le aule italiane, nell’ultimo anno la situazione peggiora. Giovani maggiorenni, con stili di vita e di consumo largamente adultivi (si pensi solo al rapporto con la sessualità) vengono sottoposti a regimi di regole e di rapporti infantilizzanti e paternalistici. Non si ribellano apertamente perché c’è un guadagno: la deresponsabilizzazione e l’essere garantiti da un maternage che li avvolge caldamente dalla casa all’aula. Non è che questo sia un problema solo italiano, poiché riguarda tutti i giovani europei che godono di condizioni di consumo privilegiate, in cui si chiede loro in termini di fatica e di responsabilità meno di quanto si chiedeva ai genitori quando erano giovani o di quanto si chiede ai coetanei dei paesi “emergenti”.In Italia i nostri notori stili di vita molto imperniati sulla famiglia accentuano l’aspetto di deresponsabilizzazione. Certo, poi queste cose si pagano, in termini di dignità e sicurezza dl lavoro che aspetta o non aspetta dietro la scuola. Le stesse generazioni che schiudono ai figli le porte del paese di Lucignolo sono quelle che siedono in posti o in ruoli da cui sembrano inamovibili e la cui inamovibilità ha in ultima analisi contribuito a causare la pesante precarietà dei giovani.

Anticipare di un anno la fine della scuola superiore potrebbe essere un dispositivo che cerca di accelerare l’incontro fra giovani italiani e realtà, senza che probabilmente gli stessi debbano subire dolorose decurtazioni negli apprendimenti. Tanto, a quanto sembra, nei licei italiani a spiegare il Novecento non ci si arrivava lo stesso.

 

Tiziana Pedrizzi



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