26 aprile 2010

MORATTI, BOSSI, FORMIGONI: LA FINE DEL MÉNAGE À TROIS


Il ménage à trois milanese, Moratti – Bossi – Formigoni si sta complicando e già semplice non era. Il nuovo interrogativo potrebbe essere: quanti sono i finiani in Comune, in Regione e, per quel poco che conta, in Provincia? Dobbiamo avere pazienza: il nostro è un Paese di ante marcia in ritardo e assisteremo al solito teatrino del “posizionamento” secondo da che parte spira il vento ma soprattutto guardando a chi il vento l’ha in poppa. Voglio vedere se anche questa volta gli ex socialisti, ora popolani del Popolo della Libertà, saranno i più lesti di tutti: legittima curiosità.

A Milano bisogna fare in fretta. Non solo perché la fretta è tipicamente milanese ma perché le elezioni per il nuovo sindaco e per il nuovo Consiglio sono in pratica alle porte. Malgrado la granitica conclamata compattezza del Popolo della Libertà, le correnti tanto aborrite dal Cavaliere qui ci sono da un pezzo: il Popolo della Libertà comprende ciellini, berlusconiani puri folgorati dalla politica di ogni razza, ed ex (ex da tutto lo schieramento della Milano da bere). Gli unici che possano vantare un vero passato politico sono i ciellini, la loro storia parte dal 1954, più di cinquant’anni orsono.

Formigoni ne è l’esponente caratteristico: in comune con la vecchia DC hanno l’arte di governare occupando le istituzioni ed essendo presenti nel mondo del lavoro con Compagnia delle Opere come lo fu la vecchia DC con Confagricultura e con le Cooperative bianche: dalla Chiesa ha ereditato il senso della propria continuità e quindi la pazienza di lunghe tessiture del potere. IL PGT e l’acquisto da parte della Regione della aree per l’Expo ne sono un esempio: dal 2015 chi possiede quelle aree sarà determinante per lo sviluppo urbanistico di Milano, soprattutto nel comparto dell’edilizia sociale.

La Lega è più ruspante, incapace e quasi nemica dei grandi disegni politici ma può vantare una schiera non da poco di apprezzati pubblici amministratori nell’hinterland che in qualche modo garantiscono della sua capacità di governo locale. Quanti milanesi le perdonano gli atteggiamenti razzisti e xenofobi, che probabilmente i milanesi stessi non condividono, mettendoli, come fa Berlusconi, in conto al primigenio folclore leghista, pur di avere degli amministratori che non si perdano per via persino nelle cose banali e di tutti i giorni come la Moratti? Molti, penso.

Quanto al vecchio Pdl ormai anche i sassi l’hanno capito: sono un partito di affaristi, di venditori di illusioni porta a porta, sono come quelle balie che infilano loro per prime il pollice in bocca a marmocchi che frignano per farli assopire felicemente: la macchinetta per i denti al momento opportuno qualcuno la pagherà. Eppure, malgrado queste diversità, stanno insieme ma come spesso accade nei gruppi eterogenei che non vogliono o non possono dividersi, la loro azione, vittima d’infiniti piccoli e grandi veti incrociati, è quasi nulla. Governano solamente e male il quotidiano, fanno per inerzia quel che si è sempre fatto di routine ma quando si tratta di qualcosa di nuovo, l’Expo, ecco che tutto s’inceppa e tutto si ferma.

Fino a quando staranno insieme visti i chiari di luna? In che modo riusciranno a governare Milano da qui a fine mandato? Se il rischio di danni irrimediabili non fosse così alto per la città, all’opposizione converrebbe lasciar fare, lasciare che si avvitino su se stessi, insomma basterebbe sedersi pazienti sulla riva del fiume. Ma non si può. Ma si può trarre subito invece una spicciola morale: la fine di un governo comincia sempre dalle sue divisioni ma di converso la vittoria di un’opposizione diventa possibile solo dal superamento delle divisioni, le sue. A buon intenditor.

 

L.B.G.



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