26 aprile 2010

LA RICCHEZZA DELLA CITTÀ: I CITTADINI E L’AMBIENTE.


“Lealtà, uguaglianza, saggezza, bellezza rendono grandi la città”, così recita Walt Witman in “Cosa rende grande una città” (1944). E’ dunque il valore della civitas e non la sola meccanica dell’accumulazione che rende grande una città. Questo principio, nello sviluppo urbano moderno, può essere articolato in tre momenti topici: la supremazia della creatività e dell’agglomerazione, l’uso responsabile delle risorse, l’ubiquità delle relazioni. La supremazia della creatività e dell’agglomerazione. Questo filone inaugurato da Jane Jacobs con “L’economia della città” (1969) sottolinea il ruolo della città come fattore primario di innovazione e di cambiamento economico. Intuizione ripresa da Robert Lucas (1983) e da Paul Romer (1988) i quali sostiengono che motori dello sviluppo economico sono le idee, le invenzioni e le conoscenze, le quali possono circolare all’infinito; e il luogo dove con più intensità possono liberamente circolare questi flussi creativi è la città o la città regione, come sosteneva Jane Jacobs. Sulla base di queste teorie si impone come settore primario di produzione il sapere e finisce la demonizzazione della metropoli, la quale assurge a struttura fondamentale dello sviluppo.

Probabilmente un fattore importante del declino di Milano è la mancata interpretazione creativa della sua dimensione metropolitana, un tentativo iniziato con il monumentale “Progetto Milano” dell’IRER dei tempi d’oro, ma soffocato dai metodi ‘burocratici-razionali’ che hanno dominato la gestione della nostra città. L’uso responsabile delle risorse. Kenneth Boulding e Nicolas Georgescu Roegen (1968-1975), ci fanno prendere coscienza del limite delle risorse naturali nel processo di accumulazione economica, avviando un percorso che porta alla bioeconomia e all’interpretazione della città come sistema ‘chiuso’, all’interno del quale, come in un’astronave, occorre centellinare le risorse diminuendo il prelievo ed eliminando i rifiuti. Come abbia potuto un’amministrazione, che è rimasta estranea al problema del limite delle risorse, candidarsi a gestire un’Expo che ha come scopo indicare soluzioni per nutrire il pianeta, sfugge al campo del razionale. Così com’è difficile possa essere annoverata fra le metropoli moderne una città che propone un piano di sviluppo territoriale guidato dall’intensità d’uso edilizio, ignorando il livello di carico che questa scelta comporta.

Questioni che non riguardano la sola maggioranza che guida l’amministrazione della città e le forze economiche che la sostengono, ma denunciano una crisi sostanziale del sapere nel suo complesso. L’ubiquità delle relazioni. Alla metà degli anni ’90 Nicolas Negroponte (Atoms and bits), Paul Virilio (Lo spazio critico), William J. Mitchell (City of bits) introducono una nuova dimensione della città e della ricchezza, non più legate alla sola loro dimensione materica, ma sintesi di atomi e bit, ossia di materia e comunicazione. Con queste elaborazioni si conclude il ciclo della città industriale e inizia il percorso della città dei bit, una città in cui ha piena applicazione il principio della dematerializzazione e dell’ubiquità, grazie alla connessione ad alta capacità di ogni supporto mediatico.

Inizia così la rapida sostituzione di strutture fisiche con strutture immateriali, un processo di sviluppo e–i–u (elettronico, interattivo e ubiquo) guidato dalla pubblica amministrazione (l’e-learning, l’e-health, l’e-utility,…), in grado di favorire processi collaborativi fra cittadini e pubblici amministratori, non invasivo rispetto alle risorse non rinnovabili. Assistiamo a declinazioni dello sciluppo della città basate su nuove infrastrutture (le reti a 100 Mb), nuovi saperi, per intuire e gestire le nuove direzioni del cambiamento, saper gestire socialmente la potenzialità delle nuove reti, insomma sapersi inserire in un nuovo rinascimento urbano reso possibile dalla babelica interconnessione universale. Milano era partita in anticipo in questa direzione, negli anni ’80, con il progetto “Lombardia cablata”, coltivando però l’equivoco che la rete fosse solo un’infrastruttura tecnologica, in grado di aprire nuovi mercati, ignorandone la dimensione civica e, quindi, il suo potenziale per rinnovare il diritto di cittadinanza. Penso che occorra ripartire da qui per superare la miopia delle lobbies che stanno depauperando la metropoli e la modestia progettuale che la sta ridicolizzando.

Giuseppe Longhi



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