26 aprile 2010

IL SALONE DEL MOBILE, IL DESIGN E LA SOSTENIBILITA’


Il Salone del Mobile di Milano rappresenta indubbiamente il più interessante e caratteristico di tutti gli eventi che nell’arco dell’anno si organizzano nella nostra città. E’ un fenomeno economico, sociale e culturale di dimensioni straordinarie, inconsuete anche per città più grandi della nostra, che ormai deborda da tempo dai confini fieristici, per diventare non solo “messe” ma “kermesse” capace di investire l’intera area urbana milanese. In un tempo e in un territorio ormai poveri di pensiero e di idee, per una settimana all’anno Milano si trasforma: da grigia metropoli che sta a metà strada in tutto diventa la Capitale del Design, si riempie di colori, di giovani, di oggetti bizzarri e affascinanti. Sia detto senza ingiuria, la settimana del Salone del Mobile è diventata una sorta di Carnevale. Lo è per la mescolanza di eccessi e di opposti, in cui si mette in mostra la grande azienda e il piccolo artigiano, la ricerca industriale e lo sberleffo creativo, lo sfarzo e il riciclo, il prodotto funzionale e quello fashion, in una mescolanza che rende spesso difficile distinguere al primo colpo l’uno dall’altro. Lo è per la mescolanza di generazioni e di personaggi, giovani designer e aspiranti tali, vecchi saggi, artigiani, commercianti, comunicatori. Lo è anche nella felice scelta stagionale: per decenni evento settembrino, è diventato beneaugurale rappresentazione dell’esplosione di energia vitale che è propria della primavera.

Dunque ben venga questo Carnevale del Design: in quanto esplosione di energia che comunque tutta si manifesta e si consuma appunto nell’ideologia trainante e totalizzante del “design”. Il lavoro sulla forma degli oggetti e sui loro materiali come paradigma di ogni atto creativo. Accettiamo questa visione convenzionale perchè consente all’evento di dispiegarsi in tutta la sua sinergica potenza, ma non lasciamoci convincere che essa sia vera. Ciò che rende più discutibile il concetto del design come paradigma di ogni atto creativo sono proprio i suoi due estremi, particolarmente percepibili quest’anno e nelle manifestazioni di Fuori Salone.

Da un lato mai come quest’anno assistiamo alla penetrazione dei marchi della moda nel settore dell’arredamento. Oltre ad Armani, già presente nel settore da anni, moltissimi altri stilisti si presentano con collezioni di design. Qualcuno potrebbe considerare il processo come indicativo di un crescente interesse e attenzione per il buon design. In realtà dimostra esattamente l’opposto. Dimostra la crescente incapacità degli acquirenti di distinguere per proprio conto tra ciò che è buon design e ciò che non lo è: come già avviene nel campo dell’abbigliamento la firma dello stilista è il sigillo di garanzia di una qualità del design che il compratore non è più in grado di decifrare autonomamente.

Dall’altro lato, com’era da prevedersi, questo è l’anno del design sostenibile. Le accezioni del concetto sono molteplici, si va dall’idea di autocostruzione di Mari al recupero di oggetti fuori mercato, ma su tutti domina l’interpretazione in tutte le sue forme del riciclo. Anche in questo caso il paesaggio è vario, troviamo prodotti studiati e sviluppati con impegnative ricerche da grosse aziende, per lo più finalizzati a ridurre il consumo energetico e a recuperare rifiuti o scarti di lavorazione, e oggetti che ritornano al gioco che anni fa si chiamava “adhocism” divertenti, geniali e al limite del bizzarro. Citarne solo alcuni sarebbe fare torto agli altri, accontentiamoci di ricordarne il più possibile, sono migliaia.

I primi, i prodotti studiati dall’industria, avranno di sicuro un futuro, gli altri finiranno probabilmente come i fiori della primavera, ovvero, come la metà degli oggetti che vediamo esposti in questi giorni, non diventeranno mai un prodotto. La sostenibilità sta diventando la religione del terzo millennio, ma la via per metterla in atto sarà lunga e accidentata, e non sarà il design a spianarla. La verità è che n questo campo il design, usato come bandiera per la circostanza, in sé non conta quasi niente: l’atto creativo vero si consuma nei consigli di amministrazione, nei centri di ricerca, negli studi di marketing. E non dimentichiamo che anche scegliere cosa comprare (o non comprare) può diventare un atto creativo.

Finché una sola persona userà un ben disegnato SUV di due tonnellate per spostarsi di pochi chilometri, finché ben disegnate stampanti dovranno essere buttate via al primo intoppo perché costa meno comprarle nuove che ripararle, non sarà la ben disegnata seggiolina in plastica parzialmente riciclata che salverà il mondo. Detto tutto ciò, ben venga il Salone del Mobile e il Fuori Salone con tutta l’enfasi sul design che lo sostiene. Non dobbiamo prestare attenzione solo ai prodotti che rappresentano un’autentica risposta industriale all’obiettivo della sostenibilità. Anche i piccoli progetti di design, quelli che non avranno futuro, creati da giovani designer con gli occhi pieni di speranza, fatti senza strutture produttive o commerciali alle spalle, e in generale tutti i progetti che seriamente o ingenuamente si propongono attraverso il design degli oggetti di recuperare, ridurre lo spreco, risparmiare risorse, vanno guardati con grande rispetto. Cerchiamo di non dimenticarceli dopo il Salone.

In sé non saranno mai un modo di sprecare di meno, ma saranno un messaggio, insistente e ripetuto, che proprio in quanto ripetuto può penetrare lo scudo con il quale ci difendiamo dall’alluvione mediatica e dai cambiamenti. Così, grazie anche a questa miriade di progetti effimeri, quel messaggio alla fine arriverà, e ci farà capire che è venuto il momento di occuparci più seriamente del futuro nostro e dei nostri figli.

 

Giorgio Origlia

 

 

 

 


 



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