19 aprile 2010

GIOCHIAMO A NON-OPOLI?


Proviamo a fare della fanta-politica? Se l’idea si potesse trasformare in un gioco, lo potremmo ad esempio chiamare il gioco di Non-opoli. L’idea si basa su di una fantasia ovviamente assurda, che è questa. Nel 2016, dopo aver riscoperto con l’Expo che fuori Milano c’è la natura, folgorati da questa illuminazione i cittadini milanesi si convertono in massa a modelli di consumo virtuosi. E alle elezioni comunali un nuovo partito ecologista, che chiameremo degli Ecoradicali, sbaraglia destra e sinistra e stravince.

Immaginiamo che il primo provvedimento degli Ecoradicali, forti di una maggioranza assoluta e intenzionati a segnare una svolta drastica verso la difesa dell’ambiente, sia quello di abrogare la legge per rendere abitabili i sottotetti e il Piano Casa. Ma non solo: udite udite, decidono di bloccare qualsiasi nuova edificazione in tutto il territorio comunale, revocando tutte le licenze edilizie per nuove costruzioni, e rifiutando di concederne di nuove.

Gli unici interventi ammessi sui terreni che prima erano edificabili saranno le creazioni di orti e serre. Nessun volume edilizio potrà più subire incrementi, neanche per l’aggiunta di servizi. Da quel momento si potrà lavorare soltanto all’interno delle volumetrie esistenti.

V’immaginate le prime reazioni? Proprietari terrieri e impresari edili in lacrime a stracciarsi le vesti e a paventare alla bancarotta, vibrate proteste per solidarietà da parte di Confindustria e delle associazioni di settore, ricorsi al TAR, minacce di trasferire le aziende in Lichtenstein lasciando a casa migliaia di addetti, eccetera. Fantapolitica, avevamo detto… anche perché nessun municipio sarebbe così pazzo da rinunciare ai soldi che direttamente o indirettamente provengono dall’edificabilità dei suoli. Ma se state al gioco proviamo a immaginare cosa potrebbe accadere nel giro di qualche anno, se malgrado il putiferio scatenato la giunta degli Ecoradicali mantenesse le sue posizioni.

E’ chiaro che la rendita di posizione resterà come discriminante nel valore degli immobili: la novità è che non se ne potrà creare di nuova. O piuttosto, per incrementare quella esistente si dovrà lavorare non più sull’espansione del costruito, ma sulla qualità degli insediamenti esistenti. Le imprese edili abituate a ricavare profitti dalla creazione di nuove rendite di posizione più che dalla produzione di valore aggiunto sarebbero costrette o a chiudere o ad accettare il fatto nuovo. Ovvero che, come per tutte le altre attività produttive, anche nell’edilizia da quel momento il profitto è dato la differenza tra il costo di produzione e il prezzo del prodotto.

Le imprese più intelligenti scoprirebbero così che si può benissimo vivere lavorando a migliorare la qualità del patrimonio edilizio esistente e delle infrastrutture, ad esempio convertendo edifici per uffici vuoti o palazzi fatiscenti a nuovo uso, migliorandone la classe energetica, collaborando con il Comune per una dotazione di infrastrutture più efficiente, pubblicizzando queste qualità per poi affittarlo o rivenderlo per ricavarne un giusto profitto. Innescando cioè una competitività basata sull’offerta di qualità, oltrechè sulla posizione.

Ammettiamo poi che il blocco delle nuove edificazioni lasci insoddisfatta anche solo una parte l’enorme domanda potenziale (pensiamo alla Milano di due milioni di abitanti…) immaginata dall’attuale governo. Molti edifici per uffici vuoti o semivuoti di cui è piena la cintura milanese, che stanno dove sono solo per costituire una garanzia da dare alle banche compiacenti per farsi prestare altri soldi, diventerebbero improvvisamente e miracolosamente appetibili, pronti a rientrare sul mercato. Magari non per farci degli uffici, se la domanda non c’è, ma per trasformarli ad esempio nelle abitazioni per ospitare le masse di abitanti nuovi che fremono per trasferirsi a Milano. Dunque molti edifici esistenti subirebbero consistenti trasformazioni interne, sempre nel rispetto del vincolo delle volumetrie esistenti. Questa attività di ristrutturazione e riqualificazione dell’esistente sarebbe affidata ovviamente ad artigiani e piccoli impresari, ovvero a coloro che, prima dell’avvento degli Ecoradicali, già lavoravano in subappalto per costruire nuovi edifici per conto delle imprese più grandi.

Quindi si potrebbe scoprire dopo qualche anno e con stupore che, contrariamente alle più cupe previsioni, né il numero delle aziende né quello degli addetti risulta diminuito, essendo solo dirottato ad attività di recupero edilizio, anziché di nuova costruzione. Così anche il Comune di Milano, non più costretto a sprecare denari per correre dietro a nuove iniziative immobiliari sparse sul territorio con costose urbanizzazioni, si ritroverebbe anch’esso interessato a investire nel recupero qualitativo delle infrastrutture esistenti. Intanto i terreni non più edificabili sarebbero messi almeno temporaneamente a reddito riscoprendo le loro dimenticate vocazioni agricole. Dando così lavoro duraturo ad altre persone, e producendo cibo per i milanesi a chilometri zero.

Follia, eh? Certo, abbiamo scherzato. Ma teniamo lo scherzo per noi, non raccontiamolo ai comuni cittadini di Milano: altrimenti c’è il rischio che davvero diventino tutti Ecoradicali…

 

Giorgio Origlia



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